"KALOSKAGATHOS. SEI LEZIONI DI GASTROSOFIA" - QUADERNO N° 2 DEL CAFFE' FILOSOFICO - AUTORE: PATRIZIA DE CAPUA

05.12.2005 21:00

Il libro che quest’anno il Caffè filosofico intende offrire a tutti coloro che parteciperanno alla serata del 5 dicembre nasce dalla collaborazione con la Nuova Scuola Media di Crema (Centro EDA), e dall’esperienza realizzata fra il novembre 2004 e l’aprile 2005: sei cene filosofiche a tema, introdotte da una relazione sull’autore protagonista della serata. Il tutto, presso il ristorante “Il Ridottino”, dove Carlo Alberto Vailati creava piatti molto filosofici… Sì, perché ogni filosofo ha le proprie preferenze anche a tavola!

Il testo riporta le relazioni, i menu delle cene, le letture che le accompagnavano, i giochi e le ricette. Insomma, tutto documentato.

Gli autori sono Mauro De Zan, Luca Carra, Marco Ermentini, Patrizia de Capua, Silvano Allasia, Andrea Bortolon (alias Aldo Spoldi).

Durante la serata, come avveniva nelle cene, Carlo Rivolta leggerà e interpreterà alcune pagine d’autore tratte dal testo.

 

E naturalmente non mancherà la sorpresa!
Sarà l’occasione per scambiarci gli auguri di Buone Feste.

Dibattito

Data: 22.06.2013

Autore: Adriano Tango

Oggetto: DE GUSTIBUS

Dalla serata del 5.12 mi sono dovuto dileguare anzitempo, ma per questo forse leggo il libro con maggiore attenzione.

Complimenti per la scelta di una serata culinaria a termine del ciclo sul relativismo, ed a Patrizia de Capua per la perentoria affermazione “Oggi l’abbinamento cucina e filosofia sembra quasi scontato” che pone la culinaria fra le arti di pensiero elevato dell’uomo, trascendendo quindi la materia prima da cui deriva la preparazione del prodotto finito apprezzabile e tanto esaltato.

Ma per capirci un paio di definizioni dal dizionario della lingua italiana ripescato fra i libri di scuola dei miei figli.

Cucina: tecnica la prima “preparazione e cottura dei cibi, ma alla terza, intesa come arte, “il modo di cucinare secondo determinate regole e ricette che riflettono il gusto e la tradizione locale o ambientale”, manca un accenno alla creatività ma non c’è male.

Gusto: la prima definizione “Senso che consente etc.” è tecnica, fisiologica, ma la terza “Voluttuosa soddisfazione di un’esigenza fisiologica” ben si accorda.

Detto così pare che l’arte culinaria stia alla filosofia come il gusto sta al relativismo.

Sembra proprio di sì, infatti a me piace dolce a te salato, ai tedeschi acido agli italiani insugato.

Se è vero per me, non lo è e per te e viceversa e non dobbiamo neanche renderci specifiche ragioni, perché non ce ne sono, è talmente arbitrario che “non disputandum est”.

Più relativistico di così!

Sicuro?

Quando giravo per la Scozia con la famiglia, figli ancora gregari, spesso ci si fermava in posti tipo casette delle fate o castelli in splendide foreste, e si mangiava.

Divertente: carne di cervo ai mirtilli, maiale alle mele cotogne e simili.

Guazzabugli direte voi, ma gusto o non gusto meglio farseli piacere perché lì gli spaghetti non parliamone: scotti ed alla marmellata dolce di pomodoro proprio come il cervo.

Che gli Scozzesi abbiano bisogno di zuccheri?

Niente di fisiologico, un bene culturale, relativistico quindi?

No, o almeno non solo, in senso di arbitrarietà.

Un mio amico, cuoco rampante, operante in pieno mediterraneo, nel cuore della nostra cultura gastronomica marinara, me lo trovo in televisione su canale 5 che propone carpaccio di pesce (crudo) con le albicocche (cotte).

Benissimo, a contatto con i turisti scozzesi si è ispirato e facciamola finita!

No, si è ispirato sì, ma inconsciamente ed a gusti lontani, ma nel tempo e non nello spazio.

Sfogliamo, se fosse sfogliabile, un libro di cucina antico greco, etrusco, romano.., qualcosa ancora è rimasto, ma guarda, ….è cucina scozzese!

No, cucina e gusti antichi, ed il cuoco alla moda “novelle” (e vedi caso anche al portafoglio ben fornito), si reispira, inconsciamente, rivisita.

E gli scozzesi?

Semplicemente sono rimasti lì, in quel campo non sono evoluti.

Non a caso impazziscono per la nostra cucina e per quella francese quando la provano!

Quindi come i suoni si sono evoluti sino a Mozart, i cibi si sono evoluti fino alle lasagne, e, purtroppo, fino al riso alla sfoglia d’oro.

Interessante, finiti gli alimenti primari classici, si introduce un elemento minerale nuovo.

Ma la mia diffidenza è miope: che differenza c’è fra un sale di sodio (sale da cucina) ed un sale d’oro?

Il costo non è una buona discriminante.

Già, qualcuno dirà “ma questo dove vuole andare a parare?”

Semplice: a che fine chi ha introdotto l’ingrediente nuovo l’ha fatto?

Per “complessare”

Già perché questa considero la chiave di lettura della diversità solo apparente, un’evoluzione, e se il sistema culturale cibo in un posto del mondo lo fermiamo ad un o stadio evolutivo rischiamo di trovarci un cuoco celtico in contrapposizione con la Sig.ra Ancilla, nota lasagnologa bolognese della mia infanzia.

Relativismo epocale ed evolutivo quindi, ma lascialo evolvere, magari con delle differenze di gusto lievi, ma facile capirsi alla fine, tutti arrivano alla stessa ricetta, e se poi si ci sono scambiate ricette… evoluzione convergente.

Ma allora è finito ogni relativismo!

No, perché è vero che si trovano scozzesi rimasti isolati per oltre due millenni dopo aver imparato dai romani ad associare carne e frutta, ma adesso è un bene culturale razziale, tuttavia temporaneo.

E la contrapposizione? Solo se qualcuno gioca a dogmatizzare, e così gioca pericoloso!

Una cosa abbiamo comunque chiarito, più avanti nel tempo è più complicato, la ricetta, il pensiero, più lontano dal cammino opposto del nostro universo meccanico, governato dalla seconda legge della termodinamica, semplificante, quindi andiamo contro corrente! Ed in tutti i campi.

Chiuso l’inciso, ma vale la regola, un piatto più complesso è probabile che sia più tardo.

Ma quest’evoluzione cultural - culinaria alla zucchina ed all’olio d’oliva, e presuntivamente parallela nelle idee, perché dovrebbe essere convergente?

L’evoluzione delle specie nella biodiversità ad esempio è stata divergente!

E la cucina di una razza raffinata come i giapponesi, idem!

Certo, perché l’evoluzione della vita o della culinaria ha sfruttato nicchie biologiche diverse rimaste isolate per periodi molto lunghi.

Ma quando due specie hanno diviso lo stesso ambiente alla fine si sono assomigliate, convergenza di forma ad esempio fra un mammifero ed un insetto in ambiente acquatico, perché la soluzione era solo quella!

Rispondevano nell’evolvere all’esigenza di specie, cioè sua conservazione e promozione.

I nostri gusti e sistemi di pensiero non fanno eccezione, tutto sta a vedere quanto sarà globalizzato il mondo.

Certo una psicodiversità ci farebbe comodo proprio come la biodiversità, come serbatoio di soluzioni, e di ricette culinarie magari, ma non divaghiamo ancora una volta.

Obiezione!

Riducendo tutto a sistemi di pensiero evolutivi, vi stai includendo anche gli assoluti, facendone creazioni umane: solita accusa.

No.

No, non c’è bisogno di negare gli assoluti perché una ricetta non è un pollo arrosto, ma è la nostra aspirazione al pollo arrosto, la via per la visione che poi se ne concretizza in tavola.

Abbiamo quindi un pollo, reale, appetitoso, sì anche di questi tempi in cui così ingiustamente è un sospettato maggiore, ed una nostra aspirazione alla alimentazione pollistica, che abbiamo raffinata fino a farne una ricetta, un tramite quindi.

Ma la chiave della sola apparenza di contraddizioni è nella parola raffinata, evoluta cioè per fasi.

E come in ogni complessazione io sono in grado di apprezzare sia un rintocco di campana che una melodia, sia pane e salame che le lasagne al forno.

Si perché l’evoluzione è comprensiva dei suoi passaggi, e meno male!

Altrimenti in Scozia sarei morto di fame!

Ma la controprova, mi ripeto, è che lo Scozzese aspira alla nostra complessa cucina.

Ma nei campi non gastronomici del pensiero umano dove vuoi arrivare, qualcuno si chiederà: non sei stufo di blaterate da osteria?

Semplice, far da mangiare e pensare hanno in comune il substrato ed il percorso: materie prime ed esperienze sensoriali, fuoco e pensiero, influssi esterni e commistioni, già ma in culinaria vige la sola legge della creatività, e siccome “non disputandum” non ci sono remore all’evoluzione.

Non parlo di censure, per carità, l’epoca è liberistica, parlo di condizionamenti!

Intendo specifica responsabilità dei dogmi, in tutti i campi, che nessuno pensi ad uno in particolare che magari gli sta più a cuore, ce n’è in più campi del pensiero, che frenando l’evoluzione frenano l’arrivo ad una visione comune.

Penso alla distinzione fra cammino, individuale o di gruppo, culturale etc. e meta, all’incomprensione che si crea semplicemente arrogando principi di assolutezza e superiorità fra quanti vedono la stessa realtà da due punti dello stesso cammino.

Non vi è reale relativismo, non vi è reale ipotesi di pari valenza delle posizioni su cui accapigliarsi, si tratta di stratificazione delle posizioni, come delle sfoglie di lasagna della buonanima di Ancilla.

Ci sono gerarchie fra le idee ma spesso non contrapposizioni: in quanti non si accorgono che sono solo fasi evolutive e non percorsi diversi, che comunque potrebbero essere convergenti!

Sì, mi richiede l’ipotetico interlocutore, ma alla relativistica pari valenza delle idee più diverse cosa rispondi, che ti arroghi tu il diritto di stabilire una graduatoria in quanto sancitore della superiorità culturale delle linguine scampi ed asparagi (disponibile ricetta e consigli) sulla porchetta con la mela in bocca?

Bene, la prima regola è cercare in ogni aspetto del pensiero tracce delle presunte opposizioni, allora si tratta solo di un passaggio evolutivo.

Comunque bella domanda… questa sì che è difficile, sì perché le pietanze cattive al massimo fanno venire il mal di pancia, le idee incongrue fanno guai grossi, pregiudicano comunità di pensiero o popoli interi, quindi per fortuna… la discussione non è chiusa.

E’ vero: c’è bisogno di volani che mitighino, che si chiamano tradizione, confronto, etc. ma non false luci ed ombre proiettate dagli assoluti!

Ribadisco però il concetto di base: lasciatele crescere queste povere idee che magari supereranno le divergenze da sole!

E per i dogmatici?

Dialogo con un pizzico di bonaria ironia?

Generalmente non stanno al gioco.

No, suggerisco un paziente ed anche affettuoso lavoro ai fianchi e lasciar ventilare magari l’ipotesi di lasciarli in solitudine, non ci sono lontani, ma non prima di averle tentate tutte.

Dall’alto della torre civica si scopre di abitare lo stesso mondo.

E dire che scalando ognuno una parete diversa, non c’erano punti comuni!

Peggio!

Anche risalendo la stessa parete stando al di sopra ed al di sotto del livello dei tetti circostanti, non ci sono punti comuni!

E se non ci riusciamo a capirla e farla capire?

Bene, se non ci riusciamo… ancora cervo e mirtilli in Scozia e pane e pecorino nelle isole mediterranee, e giù a picchiarsi per chi ha il gusto più raffinato, altro che “de gustibus”, con buona pace di Giulio Cesare.

Ma poi, quando espresse la storica massima cosa intendeva davvero dire?

Che non vale nemmeno la pena di discuterne tanto poi ognuno resta della propria idea come generalmente inteso?

Al contrario!

Ospite con il suo staff a casa di paleo Milanesi stava tentando di mitigare un accesso di dogmatismo dei suoi circa quello che consideravano il disgustoso uso locale del burro come condimento per gli asparagi, un diverbio tale da rischiare addirittura uno scontro armato!

E se fossero state servite le mie, non solo mie, linguine agli asparagi e scampi di cui sopra?

Avrei rischiato la testa anch’io!

Ma vuoi vedere che fra i motivi per cui l’hanno fatto fuori il vecchio Cesare c’era anche un contorno di verdure? Non importa, son sempre idee.

Ma io sono nato oltre duemila anni dopo, posso cucinare liberamente tentando tutti gli accostamenti! O no?

Ma intanto arriva Natale, si ci avvicina alla meta ognuno a modo suo, ma per tutti il cibo è uno dei festeggiati, il meno essenziale allo spirito, ma il più tradizionalmente onnipresente, si spera almeno per quanti più possibile numericamente.

Quanto è cambiata nei secoli questa festività! Ma la festività o la nostra maniera di festeggiarla, obiettivo o percorso?

Il momento dell’anima o il nordico albero di Natale accanto all’italico presepe il tutto proposto da un Babbo Natale, nella veste a noi familiare voluta dall’industria della coca cola anni 30 dello scorso secolo?

In ogni caso nel confronto fra genti e tradizioni che si sono fuse stratificandosi, direi che la festa si è talmente arricchita di significati, proprio come una ricetta a gusto tondo, da rappresentare per tutti, ognuno per la sua via, un momento unico e bello, auguri quindi e finalmente non disputandum est.

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