CONSIDERAZIONI SUL "PIÙ INQUIETANTE FRA TUTTI GLI OSPITI" - DALLA TESI DI LAUREA DI LUCA LUNARDI

08.02.2010 21:00

 

Utilizzato spesso a sproposito, in un’accezione banalmente ideologica e parziale, il termine nichilismo irrompe solo con Nietzsche nel suo significato pieno e proietta la sua ombra lungo il Novecento, fino alla secolarizzazione compiuta dell’Europa contemporanea e del trionfo inarrestabile del potere pseudosalvifico della tecnica. Quello che Nietzsche definisce «ospite inquietante» si aggira da tempo per la casa, invisibile e strisciante, spogliando e riducendo l’attribuzione di senso al qui e ora, all’utilità pratica ultraveloce, all’autoaffermazione di sé e alla banalizzazione del gesto. Se per Heidegger ciò che serve è scavare nella radice metafisica delle profezie nietzschiane, per capire davvero in che modo l’Essere si sia ridotto alla manipolazione tecnologica dell’ente (quello concreto o quello astratto di un software che annulla artificialmente le distanze), la conseguente spogliazione del senso autentico dell’esistenza e l’eterno ritorno delle cose su se stesse (così che ogni attimo è uguale all’altro e non esiste più meta in un mondo senza Dio) spingono l’uomo verso l’oltrepassamento di una linea che non ammetterebbe ritorno (Jünger). Un’Europa apostata della fede che ha contribuito in modo decisivo a fondarla, in cerca di radici che non vuole veramente riconoscere, ha di fronte a sé nientemeno che le prospettive della regolazione della vita e della morte del singolo, teso a decidere per se stesso liberato dalla tirannia di un mondo “Vero” che è diventato favola. Ma se anche la metafisica occidentale fosse al suo epilogo, non significa che anche l’etica, che ha guidato questo pezzo di mondo, lo sia.
 
 
  • Due scritti d’occasione - Ernst Jünger, Oltre la linea (1950) a cui rispose Martin Heidegger pochi anni dopo, in occasione del sessantesimo compleanno di Jünger, con un contributo in forma di lettera più tardi ripubblicato in Segnavia (1976) dal titolo La questione dell’essere. Il tema comune è il nichilismo inteso come «crollo dei valori supremi» e riduzione del senso nei più vari ambiti del vivere – religioso, civile, politico, gnoseologico, metafisico.

  • Che cos’è il «nichilismo»? Il clima culturale è tuttora intriso di motivi “nichilistici” e le radici filosofiche generali sono le stesse già individuate da Nietzsche. Si distingue un nichilismo “passivo” (lo spirito umano debole, decadente, pessimista) e uno “attivo” (quello del superuomo che fa propria la morte di Dio e prende su di sé le sfide della trasvalutazione assiologica). I «valori» sono strumenti di dominio e indebite oggettivazioni. Il contatto con l’Assoluto è precluso e riconosciuto come impossibile e inconsistente. Il platonico mondo “vero” è “favola” e da questo punto di vista il nichilismo coincide col platonismo stesso. Il vero ente sarebbe quello soprasensibile e il resto è degradato, rinnegato e dichiarato nullo: l’inizio della storia metafisica occidentale che porterà alla dimenticanza dell’essere che è nichilismo nella sua essenza.

  • Volontà di potenza ed eterno ritorno dell’uguale sono i pilastri metafisici della possibilità della trasformazione in senso nichilistico del mondo e dell’esserci. Il primo rappresenta la possibilità di controllare strumentalmente le cose per farne oggetti di accrescimento del dominio dell’uomo sugli enti, privi di qualunque rimando a un’alterità ontologica e ridotti nella loro apparente essenza a controllabilità tecnica. Il secondo riflette l’assenza di scopo e di meta: l’equipollenza di ogni attimo, lo scomparire del fine ultimo rappresentato dallo scorrere lineare orientato della freccia del tempo verso la possibile salvezza ultraterrena, tipica del Cristianesimo.

  • La metafora della «linea»: si può “oltrepassare” il nichilismo? Jünger e Heidegger danno risposte essenzialmente diverse, pur speculando all’interno dello stesso territorio.

  • Jünger analizza, fa diagnosi, guarda il male, il caos, la malattia con le loro controparti “positive” eros, ordine e vigore, sgombrando il campo da equivoci ed errori. Guarda al lavoro come a un disincantato strumento di trasformazione tecnica scevro da significati altri; alla civiltà borghese occidentale come a un mondo decadente e ipocrita coi suoi appelli al senso umanitario, alla ragione (ratio) e alla democrazia; alla ratio stessa come uno strumento inadeguato, con tutto il suo calcolare e logicizzare, per trovare vie d’uscita (servirebbe un nuovo linguaggio); alla Chiesa come a un’istituzione fallimentare nel suo compito di “custode delle forme”; alla tecnica come mobilitazione totale.

  • Se Heidegger fa proprie molte delle diagnosi jüngeriane, dissente nella sostanza sia sul modo di “attaccare” il problema del nichilismo, sia nel valutarne le vie d’uscita (se mai si debba uscirne). In primo luogo, non si è per nulla “oltre” la linea, ma vi siamo “sopra”. Non esistono oltrepassamenti se prima non si riconoscono le radici metafisiche. In secondo luogo, le proposte “soluzioni” di Jünger (il ritorno alla coscienza del singolo, la valorizzazione dell’eros, dell’amicizia, dell’arte, la «terra selvaggia» libera dai condizionamenti sociali e politici, lo sprezzo della morte) sono solo pseudosoluzioni, perché ricadono nella sfera dei “valori”: si sostituiscono valori decaduti con altri valori. Il percorso segnato da Heidegger è quello del recupero – dal sapore olistico e mistico – del senso dell’essere (o dell’Essere) come ritorno dall’oblio a cui è stato condannato dalla stessa metafisica, che ha raggiunto il suo termine inevitabile in Nietzsche. Superare il nichilismo solo superando la metafisica stessa. Cosa si celi “oltre” questo sembra secondario, finché non si spezza il legame che ha tenuto assieme la considerazione dell’essere come essere presente e il niente stesso, che sono essenzialmente la stessa cosa.

  • Tuttavia, quale ausilio reale abbiamo da questo sfondamento metafisico? Probabilmente possiamo ormai dichiarare veramente morto il Dio che ha fondato spiritualmente l’Europa in questa epoca secolarizzata e sradicata, che toglie il Crocifisso dalle pareti per un malinteso senso di rispetto e benintesa mancanza di sensibilità storica ed etica. Ma ci aiuta davvero la riflessione metafisica a non dichiarare come vincitore il vuoto di senso che affligge in particolare i giovani(Galimberti, 2007)? Ci aiuta, la riflessione squisitamente metafisica, a dare unsenso ai “progetti di morte” che dichiarano priva di dignità una vita umana solo perché impossibilitata a esprimersi col corpo? Quale diritto ha l’embrione di vivere, confrontato con quello di sua madre? Sta quello sfruttando il corpo e la libertà di questa, che deve mantenersi libera di scegliere al di fuori di qualsiasi autorità etica esterna alla propria inalienabile coscienza, come vorrebbe forse Jünger? La radice di questa ulteriore accelerazione etica verso il soggetto comeunico responsabile di qualunque scelta che riguardi in particolar modo la vita –vita già identificata paradossalmente da Nietzsche come la sola portatrice di “verità” – spoglia di senso l’essere stesso oltre il territorio di quella linea che Heidegger ritiene poco utile osservare. Sta qui lo sfondamento di quella linea: l’uomo che si autocrea e autodistrugge, oltreuomo che vuole e si vuole al massimo grado decisore di sé, mentre amore e carità retrocedono obliate da qualcosa che si traveste per pietosa autodeterminazione?

 

Dibattito

Data: 18.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: Introduzione

Con l’incontro di questa sera diamo inizio, così come deciso nel nostro Direttivo, ad una serie di incontri di presentazione e di commento di alcune tesi di laurea in filosofia di studenti cremaschi.

Incominciamo da Luca Lunardi che sentiamo particolarmente vicino al Caffè Filosofico anche perché non solo lo frequenta dall’inizio ma è anche componente del Direttivo con l’incarico di segretario.

L’argomento è di particolare interesse ma anche di una qualche difficoltà, presentando alcune considerazioni attorno al filosofo Nietzsche. Nietzsche è un filosofo complesso e controverso. Controverso perché alcuni suoi scritti e alcune sue tesi sono state accostate forzatamente all’ideologia nazista: ad eliminare questo equivoco basta la considerazione storica che indica nel 1900 la data di morte del filosofo. Complesso per la sua scrittura immaginifica, simbolica e metaforica che ha bisogno di una vera e propria traduzione per essere intesa in senso filosofico. Che si tratti di un filosofo nel pieno senso del termine è provato fin dai suoi primi lavori di interpretazione e commento alla cultura greca con la famoso distinzione fra il dionisiaco e l’apollineo. Questa distinzione permette a Nietzsche di individuare quale è stato il momento di rottura del pensiero greco che sta all’origine del pensiero occidentale: fra i presocratici e Socrate si colloca, secondo Nietzsche, l’interpretazione nihilistica dell’essere che è appunto alla base del pensiero occidentale. L’identificazione dell’essere col nulla è infatti la condizione della possibile manipolazione delle cose da parte dell’uomo, quindi della sua libertà così come viene intesa dal pensiero greco, romano, cristiano, moderno e contemporaneo attraverso il progressivo trasformarsi della metafisica in religione filosofica e poi in scienza e tecnica. Per la vera comprensione del pensiero “niciano “ è opportuno partire da una domanda: “Nietzsche è colui che afferma il nichilismo o è colui che lo denuncia?” In altre parole, la sua filosofia è totalmente dentro il nichilismo o è il tentativo di uscirne? A mio parere è la seconda l’interpretazione più giusta e sicuramente quella più producente. Con l’affermazione dell’ ultra-uomo (superuomo) e con la teoria dell’eterno ritorno Nietzsche tenta un superamento del nichilismo, per quanto si tratti di un tentativo incompiuto e non sufficientemente sostenuto da una logica assolutamente stringente.

Data: 18.06.2013

Autore: Piero Carelli

Oggetto: Viva il nichilismo!

Bravo Luca

per aver tradotto con un linguaggio accessibile a tutti autori di difficile comprensione;

per aver avuto il coraggio di esprimere con forza il tuo punto di vista;

per essere riuscito - tu ingegnere di “nascita” e filosofo di “adozione” (o viceversa?) - ad accendere un ampio dibattito.

Ti ringrazio anche per avere stimolato la mia modesta riflessione. Eccola: la metto a disposizione di tutto il popolo del Caffè filosofico virtuale.

Uno spettro il nichilismo? L’ho visto aleggiare quella sera. E ho visto la paura di tanta gente. Ma perché mai? Che cosa ha di così minaccioso? Perché mai oltre la “linea” dovrebbe esserci il baratro?

Il nichilismo altro non riflette che la “condizione umana” e al di là della linea non c’è il “Nulla”, ma solo la città dell’uomo: una città finalmente liberata dagli “assoluti”, dalle ideologie laiche e religiose che hanno provocato centinaia di milioni di morti; una città finalmente liberata dalla maledetta credenza di avere un accesso privilegiato al Divino.

Gli assoluti sono creati dagli uomini (chi può negarlo?): tutti gli assoluti, tutti gli dèi. Tutti prodotti storici. Tutti… non assoluti.

Il nichilismo è solo questo. Nessun Dio è morto, ma solo una falsa credenza. È morta la presunzione di avere Dio dalla propria parte, di essere un “popolo eletto”. È morta la credenza di avere una Missione storica da compiere.

Al di là della linea c’è solo la sapienza socratica: la consapevolezza dei limiti strutturali del sapere umano.

Al di là della linea c’è il fallibilismo di Popper: neppure la scienza è un assoluto.

Al di là della linea ci sono tanti cristiani di ieri e di oggi per cui la fede è un “credo quia absurdum”, un salto nel buio, un credere nel tormento del dubbio, “in timore e tremore”.

Al di là della linea non c’è nessun “Dio lo vuole”, nessun kamikaze che si immola provocando una strage “in nome di Dio”, nessun capo di Stato senza scrupoli che scatena una guerra “santa”.

Al di là della linea non c’è nessuno che impone la propria Verità in nome di presunti “diritti naturali” (i cosiddetti “diritti naturali” altro non sono che creazioni umane: è la storia che lo insegna).

Nessun terremoto, quindi. Nessuna barbarie. Nessun “Nulla” che divori i valori sacrosanti dell’Occidente.

Al di là della linea non c’è nessuno (un Sommo Sacerdote o un Hitler o uno Stalin…) che detta i “Valori” alle masse, ma solo lo spazio del “confronto” tra “opinioni”, lo spazio della democrazia in cui, grazie alla “mediazione” di quell’arte nobile che è la politica, si elaborano valori condivisi e validi per una comunità, lo spazio in cui dalle “convenzioni” delle città si arriva alla “convenzione” dell’Onu sui diritti dell’uomo. Lo spazio in cui si costruiscono i valori intorno alla “vita” e alla “morte”.

Al di là della linea non vengono meno neppure le certezze individuali: ognuno si batte per convincere altri della bontà delle proprie convinzioni “certe, ma solo con argomentazioni del tutto “umane”, al di là di ogni forma di manicheismo.

Il “Dio è morto” di Nietzsche non ha nulla a che vedere con la morte delle fedi, delle religioni, delle credenze. È anzi il trionfo della fede (anche di quella fede che è la scienza).

Nessun pericolo nemmeno per il cristianesimo: il suo patrimonio preziosissimo – piaccia o non piaccia – è alla base di tutti i valori che ha elaborato l’Occidente e che sono confluiti nelle costituzioni liberali e democratiche e nella celebre convenzione dell’Onu, un patrimonio (di valori “condivisi”) che non può non essere salvaguardato.

Oltre la linea non c’è più il “tempo degli dèi” (gli dèi tacciono), ma il tempo degli uomini che, con fatica e con tenacia, memore delle lezioni della storia, cercano di costruire una città dell’uomo più “umana”, rispettosa della vita di ogni uomo, attenta a maggior ragione agli “ultimi”.

Le guerre, sì, ci saranno ancora. Le ambizioni, sì, saranno ancora forti (anzi, di più in un mondo globalizzato), ma nessuno potrà giustificare le proprie crociate strumentalizzando qualche “Dio” perché sarà smascherato.

Solo questo è il nichilismo: viva, quindi, il nichilismo!

Una “provocazione”, la mia? Solo un’“opinione” di cui sono “certo”. Una lettura positiva del nichilismo. Una lettura salutare.

Crema, 10 febbraio 2010

Data: 18.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: Contributo

L’uomo con tutto se stesso si propone di raggiungere la verità e la felicità (sinonimi). Per questo compie il viaggio della storia. Durante il viaggio ogni sera sopraggiunge la notte e si alzano le tende. E’ facile che qualcuno (o tanti) consideri queste tende da viaggio come un punto d’arrivo, e non voglia più levarle quando giunge l’alba. Così queste tende le chiama “valori”con la pretesa di considerarli la casa per sempre. Ma viene, prima o poi, pacificamente o violentemente, il momento che le tende si levino e si riprenda il cammino. Tutto qui? Un viaggio fine a se stesso? oppure il viaggio ha una meta? Nel primo caso l’approdo sarebbe il relativismo (quindi nessun approdo definitivo); nel secondo caso emergerebbe un traguardo, una finalità trascendente rispetto alla dimensione storica e contingente dell’uomo. La ragione indica l’approdo nella scienza e nella tecnica (un approdo definitivo ma progressivo); tecnica sempre meno strumento e sempre più fine. Il “sentimento” dà origine alla legge (un provvisorio elemento vincolante) e alla fede (il definitivo per scelta e per definizione). La “logica” indica nell’essere eterno e immutabile il dato primo e ultimo della realtà e del pensiero. Così l’eterno ritorno indica la circolarità del percorso storico-logico dell’uomo: partito dall’essere ritorna all’essere. Tutto ciò che è accaduto, accade e accadrà appartiene all’essere. Ma: l’Essere o gli esseri? L’orizzonte ontologico e l’orizzonte ontico (per dirla con Heidegger) sono distinti o coincidono?

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