Vorrei intervenire dando un mio contributo in relazione al dibattito seguito all’intervento del Prof.Pocar.La questione del “disegno intelligente”rimane un punto cruciale.
La teoria Darwiniana,che è una teoria scientifica e come tale soggetta a verifiche sperimentali,smentite,modifiche,è sostanzialmente a tuttoggi confermata da moltissime prove,paleontologiche,naturalistiche,biochimiche,
Rispetto ai tempi di Darwin, essa è PIU SOLIDA
A quei tempi infatti non si aveva idea precisa di come i caratteri acquisiti si trasmettessero alla prole,anche se in alcuni scritti di Darwin si intravede la congettura dei geni.
Con Mendel, e soprattutto con la scoperta di Watson e Crick circa il ruolo del DNA, si è avuta la conferma materiale del vettore dell’informazione,e del luogo (il gene) su cui la mutazione agisce e si tramanda.Al momento la teoria darwiniana spiega il mondo vivente,almeno altrettanto bene di quanto la teoria di Einstein spieghi i fenomeni fisici .
Prima di Darwin la spiegazione metafisica,che vedeva una grande intelligenza all’opera per costruire il mondo vivente ,aveva una sua base razionale evidente.
La complessità del vivente poteva ben essere invocata a conforto della ipotesi di un Creatore dotato di immensa intelligenza personale ; un progetto intelligente,insomma,che si invera nelle opere della natura.
La “teologia naturale” di William Paley,del 1802,è l’esposizione meglio nota dell’argomento del disegno divino.Darwin la conosceva e da giovane ne fu molto influenzato.essendo l’opera anche letterariamente pregevole.
Dopo Darwin l’ipotesi,semplicemente,non è più necessaria.
Fino a prova contraria,evidentemente.
Ma fino a prova contraria la selezione naturale,che comprende anche la selezione sessuale la quale spiega strutture e comportamenti apparentemente anche svantaggiosi,come livree sgargianti,etc, dà conto ,spiega senza alcun intervento divino la comparsa successiva di forme viventi,la scomparsa di molte, l’evoluzione tuttora in atto.
E’ a parer mio difficile considerare poco rilevante sul piano filosofico un apporto di tale capacità esplicativa.
La teoria è completa? Naturalmente no,è evidente che nuovi apporti sono non solo possibili,ma in atto,a mano a mano che la genetica fornisce spiegazioni più raffinate sui tempi di evoluzione e le parentele tra i viventi.
E anche sul piano logico leggo che è dimostrabile che un sistema,per essere consistente,non può essere completo.
La condizione umana probabilmente non ci mette mai in condizione di attingere l’assoluto.
Tuttavia,abbiamo una spiegazione verificata e falsificabile dell’evoluzione del vivente
Sottolineo che la “selezione naturale” non è affatto un meccanismo casuale,ma è vero decisamente l’opposto.
La selezione agisce su mutazioni casuali in modo tale da favorire l’affermarsi di organismi sempre meglio organizzati per far fronte alle sfide ambientali.
La selezione naturale di fatto agisce aumentando la complessità,riempiendo le nicchie ecologiche con crescente efficienza,etc.
Gli esseri umani,frutto della selezione naturale,hanno un’occasione,che forse sapranno cogliere: mediante la conoscenza scientifica, possono usarne i vettori materiali, e dirigere almeno parzialmente l’evoluzione del vivente.
Spero,per un miglioramento condiviso .
Dopo Darwin si può ancora credere in un Dio?
Non ne vedo la necessità logica ,ma certamente non si può provare l’inesistenza di Dio ed è vero che per molti rimane una necessità psicologica.
FILOSOFIA E EVOLUZIONISMO - RELATORE: VALERIO POCAR
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Dibattito
Data: 21.06.2013
Oggetto: Riflessione
Data: 21.06.2013
Oggetto: L’UOMO E LE DIMOSTRAZIONI
Il Prof. Pocar è stato avvincente nelle sue considerazioni.
Sotto il profilo metodologico, avendo a sfondo l’evoluzionismo darwiniano, ha vigorosamente sostenuto l’assioma dell’uomo di scienza: credere solamente in ciò che viene dimostrato; accettazione che dura finché la tesi dimostrata non viene falsificata, sostituendovi, in tal caso, la nuova.
Visuale ineccepibile nel campo della scienza.
Ma……. forse per la bravura del relatore, ed un po’ anche perché trasudava dalla sua appassionata esposizione la personale weltanschauung, si è corso il rischio di essere indotti a ritenere che tale concezione debba valere non solo per i giudizi in ordine ad eventi scientifici, bensì coinvolga tutta la sfera di pensiero dell’uomo, cioè la sua vita intera.
Oltre che avvincente, insomma, il relatore può essere parso anche convincente sotto il profilo dell’estensione di detta visione all’intero comportamento umano.
Preliminarmente e incidentalmente, trovo singolare che la stessa associazione alla quale è stato precisato essere iscritto il relatore, se non ricordo male, l’A.A.A.I. (Associazione Atei Agnostici Italiani— che dovrebbe essere particolarmente sensibile in materia distinzione tra chi crede e chi no) contempli l’aggregazione sia degli agnostici, che degli atei, i quali ultimi sono dei credenti, in quanto hanno fede in qualcosa che non è dimostrato (la non esistenza di Dio).
Dicevo, l’assioma dell’uomo di scienza è corretto; guai se non fosse così.
Ma là dove, almeno finora, non arriva la scienza, esiste un vasto territorio ideale, spirituale, psicologico, che l’uomo, anche se non vuole, non può ignorare; non può accontentarsi di dire che non lo interessa perché finora non si è dimostrato nulla in proposito. In generale anche chi si picca di professare esclusivamente la razionalità, ne sente il tormento e la necessità di ricerca.
Il filosofo Bertand Russel, non certo, religioso, ha sostenuto: “Nessun uomo assennato,
seppur agnostico, ha fede nella sola ragione”
Riporto una dei “consigli” del poeta francese Albert Fleury accompagnati da una mia grossolana traduzione:
Conseils
On te dira:”Le siècle a dissipé les voiles
De tes religions.
Tous les dieux ont croulé derrière les étoiles.
Suis ta seule raison.
Plains-les pour un instant. Et continue
à croire
Avec sérénité,
Crois au futur, au bien, à l’amour illusoire,
Et crois à la beauté.
Crois à tout ce que l’homme, au plus,
lointain des âges
A nommé la Vertu
Crois à tous le soleils comme à tous les mirages
De lumière vêtus.
Seule une foi nous sauve, et seule elle
prolonge
L’espoir qui vit en toi ;
Il vaut mieux, vois–tu bien, croire en tous
les mensonges
Que n’avoir point de foi.
Croire, c’est se leurrer d’indicible espérance,
De futures inconnus
Quand même tu verrais le néant des
croyances,
Crois ! sinon tu n’es plus.
Consigli
Ti diranno:” Il mondo ha dissolto i veli
Delle tue religioni.
Tutti gli dei sono crollati dietro le stelle.
Segui la tua sola ragione”.
Compatisci tali voci per un momento. E continua
a credere
Con serenità,
Credi al futuro, al bene, all’amore illusorio,
E credi alla bellezza.
Credi a tutto quello che l’uomo dalla più
lontana delle età
Ha chiamato Virtù ;
Credi a tutti i soli come a tutti i miraggi
Vestiti di luce.
Solamente una fede ci salva, e solo essa
prolunga
La speranza che vive in te ;
E’ meglio, bada bene, credere in tutte
le menzogne
Che non avere fede affatto.
Credere è illudersi d’ineffabile speranza,
Dell’ignoto avvenire
Anche se vedrai l’inconsistenza delle
credenze
Credi ! se no tu non sei più.
E’ lo slancio sognante del poeta, proprio all’estremo opposto della stringente razionalità
dell’uomo di scienza.
L’uomo si trova nel mezzo di questi due estremi.Slancio che si discosta pure dalla distaccata ricerca del filosofo; anche se come ha scritto J.Joubert nei suoi “Pensées” :
“ I poeti hanno cento volte più buon senso dei filosofi. Cercando il bello, essi incontrano più verità che non ne trovino i filosofi cercando il vero”.
Data: 21.06.2013
Oggetto: Il caro estinto
Pensavo che il finalismo antropocentrico fosse ormai morto e sepolto, ma no, ecco che torna ad affacciarsi sul teatrino della filosofia per insinuare che magari Darwin s’è sbagliato, anzi è certo che si sia sbagliato; meglio: Darwin non è mai esistito, non è neppure uno scienziato, solo un vagabondo del mare, un perditempo del viaggio nelle isole dei non ancora famosi.
Pensavo che l’umanità avesse metabolizzato le precedenti umiliazioni del proprio orgoglio, quando Freud presentò, non senza un certo orgoglio, la propria scoperta psicanalitica come l’ultima. Ultima ma non definitiva, perché quante altre umiliazioni doveva subire ancora quell’orgoglio duro a morire, dopo che Freud ebbe mostrato che la gran parte delle nostre azioni è dettata da moventi inconsci di natura sessuale, anziché da lucide catene di ragionamenti.
Ebbene: non solo questa ci è rimasta sullo stomaco, ma perfino le precedenti, a partire da quella copernicana. Ma Copernico ebbe la “fortuna” di morire poco dopo la pubblicazione del libro in cui avanzava l’ipotesi eliocentrica. Andò peggio a quel pazzerello di Giordano Bruno, e non molto meglio a Galileo: chi si sentirebbe a suo agio, costretto a pentirsi di aver detto ciò che i propri studi lo portano ad affermare per vero? Per non parlare del povero Marx, con quel suo materialismo storico non si sa se più frainteso o più tirato per la giacca, e non si sa quante volte relegato in soffitta per poi rispuntarne ogni volta con qualche taglio, qualche rattoppo, qualche tinteggiatura per renderne il colore più vivo o più smorto, a seconda delle mode.
Ma Darwin no. Sembrava che perfino le scuole gestite da suore avessero trovato il modo per addomesticarlo: qua e là, in un’aula di terza elementare, comparivano quei disegnini un po’ leziosi, dove con semplice ma efficace genealogia comparata vengono accostate una raffigurazione della creazione biblica (Adamo se ne sta lì addormentato come davanti alla televisione, aspettando che dalla sua costola nasca un’Eva almeno passabile), e una di quelle strisce da cartone animato, in cui uno scimmione dagli arti anteriori troppo lunghi si solleva progressivamente fino alla gloriosa stazione eretta. Insomma, l’idea suggerita pare essere analoga a quella per cui nella Bibbia, così come non si parla di nessuna mela, non si parla neppure di costole; e tale interpretazione non letterale può non confliggere con l’idea che ci sia stata un’evoluzione nelle specie viventi. Perché altrimenti il Leviatano che fine avrebbe fatto? Non può essersi estinto solo per la caccia sconsiderata dei bracconieri del mare, dal momento che nel libro di Giobbe sta scritto: “Puoi tu pescare il Leviatan con l'amo e tener ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino?” (Giobbe, 40, 25-26).
Dunque mi cullavo nella tranquilla coscienza di una ormai consolidata certezza, per quanto le ipotesi scientifiche possano considerarsi certe, ossia, come ha ribadito Valerio Pocar, fino a prova contraria. E soprattutto non mi pareva che tale ipotesi fosse seriamente minacciata, perché in fondo negli ultimi sessant’anni non era stata oggetto di demonizzazione. Sensazione condivisa, se non sbaglio, da Anna Zambelli (nel suo intervento del 26 febbraio).
Invece no: tutto sbagliato. Senza considerare la triste vicenda di John Thomas Scopes, e a prescindere da certe pruderies statunitensi, che a volte fanno sembrare noi popoli mediterranei ben più aperti e liberali del paese più libero del mondo, a pensarci bene anche a me al Liceo era toccata una tiratina di orecchie per aver osato manifestare la mia insofferenza nel corso di una lezione di Scienze in cui si pretendeva di spiegare la conformazione del cranio con un argomento teleologico, allora non esornato da rassicuranti espressioni del tipo “disegno intelligente”. Si trattava di riconoscere che quel forellino attraversato dal nervo ottico non se ne stava lì per caso, ma vi era stato posto dalla meravigliosa provvidenza divina. Magari qualcuno o molti ci credono, magari ci credo anch’io, ma può tale affermazione diventare oggetto di una lezione di Scienze? Risultato, vengo bollata come pessimista: altra considerazione poco pertinente rispetto a una valutazione scolastica, nella quale sarebbe il caso di attenersi alla pura e semplice misurazione del profitto, senza avventurarsi in azzardate diagnosi pseudopsicologiche.
Ma allora il finalismo antropocentrico è ancora vivo e vegeto! E il povero Spinoza si è invano adoperato a dimostrare la falsità di quel pregiudizio dal quale dipendono tutti gli altri, e che è tanto più insidioso, quanto più “la totalità è per natura così propensa ad accettarlo”.
Non è bastata la filosofia, non è bastata l’amara ironia poetica di Leopardi, che mezzo secolo prima di Darwin smaschera l’assurda presunzione del genere umano di essere padrone di un mondo che neppure conosce. Sciocco: non s’avvede che “infinite specie di animali non sono state mai viste né conosciute dagli uomini loro padroni; o perché elle vivono in luoghi dove coloro non misero mai piede, o per essere tanto minute che essi in qualsivoglia modo non le arrivavano a scoprire. E di moltissime altre specie non se ne accorsero prima degli ultimi tempi. Il simile si può dire circa al genere delle piante, e a mille altri” (Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo).
A proposito di animali e piante, sia detto per inciso che saremmo ben ridicoli se al finalismo antropocentrico volessimo sostituire un finalismo zoocentrico, o dendrocentrico. Non è questo il punto. Gli animali e le piante vanno rispettati e amati, ma attenzione: gli scaffali stracolmi di cibi per animali, le corsie intere dedicate alla cura dei cari cuccioli, le pubblicità in cui un meraviglioso (chi lo nega?) esemplare felino viene servito con dedizione da un padrone umano ridotto in sudditanza, rischiano di rasentare l’immoralità, in un mondo che non solo non ha sconfitto la fame, ma neppure si impegna ad affrontare seriamente il problema.
Il guaio è che non c’è un centro. Non è una lagnanza politica: è la presa di coscienza di un mondo che neppure si accorge che esistiamo. Quanto è piccola l’aiola che ci fa tanto feroci! Così piccola che, vista dall’universo, quasi non esiste. E per tornare a Leopardi, quanto ci sentivamo superiori, noi uomini del XX secolo, quando condividendo il suo sarcasmo sulle magnifiche sorti e progressive del secol superbo e sciocco promettevamo a noi stessi di non ricascarci. Il XXI, invece, sarà un secolo ancora più superbo. Le scoperte scientifiche, le innovazioni tecnologiche sono una tentazione troppo forte per evitarci questa nuova forma di orgoglio, a cui farà seguito una nuova più cocente umiliazione. Forse è già iniziata la parabola del declino di questa specie umana che si crede immortale e che pervicacemente va forgiando le armi della propria autodistruzione.
Un’ultima nota: la UAAR (Unione degli Atei, Agnostici, Razionalisti) nasce, come tutte le unioni, dall’intento di difendere interessi comuni da ipotetici attacchi esterni. Mi sono chiesta il senso oggi, qui, di questa unione, e l’ho chiesto a Pocar: da chi sono minacciati atei, agnostici e soprattutto razionalisti? Secondo Pocar sono ancora discriminati, ad esempio, in Italia da una Costituzione che riconosce libertà di opinione religiosa (art. 8), ma non prevede libertà di non avere nessuna opinione religiosa. O comunque l’articolo 8 rappresenterebbe un inutile doppione rispetto all’articolo 3, in cui si afferma la pari dignità e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E va bene, credevo fosse passata molta acqua sotto i ponti da quando Sant’Anselmo, al suo contraddittore Gaunilone che per pura finzione dialettica aveva assunto la difesa di quell’ignorante dell’ateo, rispondeva di non prenderlo in considerazione, perché “se si incontra un uomo siffatto, si deve non solo rifiutare il suo discorso, ma anche coprirlo di sputi”. Credevo, ma forse mi sbagliavo. Credevo che gli agnostici, con la loro dichiarazione di finitudine umana, non potessero suscitare che umana simpatia. Invece, a quanto pare, sono spesso tacciati di colpevole pigrizia: sforzatevi, agnostici incapaci, e vedrete che riuscirete a giungere a una conclusione!
Ma per quanto riguarda i razionalisti non posso fare a meno di restare allibita, e Pocar non mi ha aiutato ad uscire dal dubbio: da chi mai sono minacciati i razionalisti? Scartata la prima ovvia ipotesi di un attacco criminoso da parte degli empiristi, mi si presenta l’interminabile e odiosa schiera di dogmatici, irrazionalisti, fanatici, oscurantisti e di ogni specie di vandali sconsiderati. Non annovero certo i credenti fra i nemici dei razionalisti, se per credenti si intendono persone oneste che riescono grazie alla fede – e per fortuna loro – a vincere il nemico numero uno della credenza religiosa: il problema del male, a cui lo stesso Pocar ha accennato. Dunque i razionalisti sono tuttora in pericolo per gli attacchi incrociati di simili orde vandaliche? Se le cose stanno così, dovrò iscrivermi alla UAAR. C’est la faute à Voltaire? C’est la faute à Rousseau? Allora viva Voltaire e viva Rousseau.
Data: 21.06.2013
Oggetto: Perché, allora, dovremmo deridere chi il Mistero non riesce proprio a sopportarlo e vuole “tappare i buchi”?
Non possiamo certo negare che la ricerca del vero trovi la sua volontà nell’esigenza di dare un senso forte alla vita o nel bisogno di essere consolati. Ma troppo spesso la consolazione è stata la verità delle nostre “verità”. Quale valore può mai avere una risposta se nasce dal “non poter più sopportare” le spaccature e i vuoti di senso che l’esistere comporta; quale significato potrà mai avere se non quella stessa debolezza che l’ha generata. Ecco che, per lungo tempo, l’uomo ha cercato, per le sue gioie e i suoi dolori, delle cause sovrannaturali, le divinità pagane prima e il trascendente della tradizione platonico-cristiana poi. Questa visione del mondo, però, non ha resistito al saccheggio del metodo scientifico che ne ha proposta subito una nuova: la natura sottomessa al rigore matematico e alle leggi universali della scienza. Due metafisiche a confronto, appunto. Da una parte il finalismo (idealismo), l’idea che le cose si muovano in vista di un fine prestabilito, dall’altra il meccanicismo (materialismo), le cose sottomesse a principi assoluti e al rapporto di causa ed effetto. Entrambe esprimono un ordine già dato, nel primo caso è un ordine divino, nel secondo un ordine di natura, ma nello stesso modo sacrificano la materia grezza e le cose ad una ragione (intelligenza) eterna che le trascende. Pur essendo l’una la negazione dell’altra rispondono entrambe a quel bisogno di ordine e di senso di cui si è parlato, essendo, pur diversamente, dualismi che pensano ancora la separazione tra fine e mezzo, forma e materia, anima e corpo. Questi due paradigmi vanno superati.
Quale senso può avere, quindi, il dibattito che vede protagonisti darwinisti e sostenitori del “disegno intelligente”? Filosoficamente nessuno. La biologia ha fatto dei progressi dopo Darwin e concepire oggi il comportamento come un’attività svolta esclusivamente all’adattamento (concependo i rapporti di un organismo e un ambiente tra loro separati in chiave meccanica) o l’evoluzione come la sola selezione delle mutazioni genetiche è decisamente anacronistico. A mio avviso si è voluto creare un falso idolo e la teoria del “disegno intelligente” ne è scaturita di conseguenza. Contro un darwinismo così sterile che mette nelle mani del caso tutte le carte, si scaglia un pensiero che esige l’esistenza di un progetto, di un disegno che, mostrando alle cose la strada da percorrere, le priva di ogni intelligenza poiché la rivendica tutta per sé. L’uno non vede le ragioni dell’altro.
Quindi qual è la soluzione? Premetto che il “Mistero” rimane e deve rimanere (c’est la condition humaine), ma la filosofia contemporanea, soprattutto rileggendo i filosofi pre-socratici, ci ha insegnato una nuova saggezza. La Natura, diceva Eraclito, è un bambino che gioca; essa produce senso, ma come fa un bambino quando gioca, e questo senso non è mai totale. Da un tale pensiero finalismo e meccanicismo sono entrambi respinti come artificialismi poiché non vedono la produzione naturale né sono in grado di renderne conto. Vi è infatti un potere che investe le cose quando si uniscono, di esprimere un ordine e di muoversi secondo una legge che si fa in quel momento. Nella scienza e nella filosofia contemporanee, le relazioni e i processi rimpiazzano la materia inerte e le leggi astratte, negando ogni possibilità d’esistenza a meccanismi prestabiliti, o coscienze pure (disegno intelligente) e leggi assolute che sovrasterebbero il corpo e la materia. Esiste quindi una intelligenza in natura, ma è una intelligenza della natura, una logica incarnata, direbbe Merleau-Ponty. Si tratta di una intelligibilità che si crea in movimento ( il movimento sottomette insieme pensiero e materia ), una intelligibilità che nasce assieme alle cose. Dobbiamo pensare l’universo, non come il dispiegamento di un sistema le cui leggi sono già specificate, ma come un processo il cui inizio e sviluppo fa la differenza, come la vita concreta di ogni organismo sul suo patrimonio genetico. Ad esempio la biologia parla di finalità riguardo al comportamento, ma non si tratta dell’idea di specie né tanto meno della sopravvivenza; è piuttosto un orientamento generale e cieco subordinato a condizioni molto precise. Questa finalità cieca, che non ha mai di mira un piano d’insieme ma si regola su condizioni locali, essendo limitata e specializzata, lavora come capita. Essa non sopprime l’efficienza delle condizioni fisico-chimiche (le contingenze, il caso), ma ne subisce tutte le vicissitudini. E.S. Russell, in Finalità delle attività organiche, si spinge a dire che questa semi-cecità della teleologia animale è il prezzo pagato per la sua maggior efficienza. Ma non solo di efficienza si tratta: nella vita c’è una prodigiosa fioritura di forme, la cui utilità è attestata solo raramente, e che anzi, talvolta, costituiscono un pericolo per l’animale; molti esempi tratti dal mondo animale mettono in causa l’ideologia darwiniana. Il mimetismo, se apparentemente può sembrare un argomento a favore, diventa subito il suo contrario se pensiamo a tutti quei casi in cui il mimetismo non si attua pur essendoci tutto ciò che occorre per realizzarlo (mimetismi falsi). L’incredibile ricchezza delle forme della natura (pensiamo alle 27 specie di granchi delle isole Barnave che hanno 27 tipi diversi di parate sessuali), mostra che la sopravvivenza non è il fine primo dell’essere vivente ma che vi è anche un valore esistenziale di manifestazione, di presentazione. Vi è infatti un che di misterioso nel modo in cui gli animali si mostrano gli uni agli altri. E misterioso deve rimanere il nostro contatto con il mondo, e destare meraviglia, la sola a mostrarci l’intelligenza delle cose che guardiamo.
Data: 21.06.2013
Oggetto: DARWIN E LE… FAVOLE
Una “favola” il Dio biblico?
Dio = una bella “favola” smascherata dalla scienza? Ma… di quale Dio parliamo? Se parliamo del Dio dei Testi biblici, non vi è dubbio che siamo in presenza di una “costruzione umana”, della risposta alle esigenze di un popolo. Non c’è bisogno di attingere al Trattato teologico-politico di quel blasfemo che fu Spinoza per sostenere tale tesi. Oggi, dietro soprattutto la spinta della lezione magistrale di Galileo, delle “scoperte” scientifiche e dei risultati di una miriade di studi sia di cattolici che di protestanti, la Bibbia è stata letteralmente smontata e storicamente contestualizzata. Tutto è stato saccheggiato: di quello che ci hanno insegnato a catechismo negli anni ’50 non è rimasto praticamente nulla. Nulla sulla creazione dell’universo. Nulla sulla creazione dell’uomo. Per rendersi conto, basterebbe leggere gli interventi divulgativi di mons. Ravasi sul domenicale de Il Sole 24 ore. I testi “sacri” sono stati messi a nudo e si è scoperta la loro genesi “umana”. Parlare oggi di contrasto tra il messaggio biblico e il darwinismo è parlare di una querelle di altri tempi. La Bibbia è una grande “favola” costruita sui bisogni di un popolo.
Una “favola” il “disegno intelligente”?
Una grande favola anche il Dio dei filosofi? I testi “sacri”, proprio perché sono prodotti “umani”, si possono ricostruire nella loro dimensione storica. Si può fare altrettanto dell’idea di Dio dei filosofi? Vi è chi ci ha provato. Di sicuro Dio ha a che vedere con un bisogno psicologico dell’uomo (bisogno di senso, di conforto, di sicurezza…), ma anche col bisogno di “spiegare” qualcosa di cui si ignorano le cause. Chi ha fede avverte spesso l’esigenza di dimostrare agli altri che la sua non è una fede “irrazionale”, “anti-scientifica”. È il caso del “disegno intelligente”. Si tratta di un’altra delle “favole” create dagli umani? Di certo l’uomo parla “dal punto di vista” dell’uomo e ragiona col suo “metro”: non diceva già nel ‘600 il solito Spinoza che i concetti di “mezzi” e di “fine” sono il frutto della falsa credenza dell’uomo di essere libero? Già, ma possiamo avere altri punti di vista? Un embrione umano è destinato a diventare un uomo (se non incontra ostacoli), così il seme di un albero a diventare un albero. Esistono i “programmi”. Esiste un’“intelligenza”. O, almeno, la “vediamo” dal nostro punto di vista. Siamo in presenza di un’intelligenza “della natura”? Siamo di fronte a programmi (software) costruiti in miliardi di anni dal “caso” e dalla “necessità”?
Dio = tappabuchi?
È davvero possibile escludere a priori altre ipotesi? Telmo Pievani (vedi Creazione senza Dio) smonta il “disegno intelligente” e lo fa (mi si scusi per il bisticcio di parole) in modo intelligente. Ma come escludere in modo categorico ipotesi alternative al darwinismo? Il darwinismo – l’ha chiarito bene il prof. Pocar – è un ipotesi: un’ipotesi largamente corroborata, ma pur sempre un’ipotesi falsificabile. La scienza, più scopre, più incontra l’Enigma. Diceva sempre Spinoza che Dio è il “rifugio dell’ignoranza”. Già, una sorta di tappabuchi: laddove l’uomo non riesce a trovare delle cause “naturali”, tira fuori cause “sovrannaturali”. Favole? È un modo di “spiegare” quello che la scienza non riesce a spiegare. Un modo “infantile” di spiegare? Sarà. Ma che alternativa avrebbero quegli uomini che sentono l’esigenza psicologica di dare un senso “forte” alla loro vita? Aspettare che il Mistero sia dipanato? Tra quante migliaia di anni? E come potrà essere dipanato se la scienza è costituita da congetture sempre falsificabili?
Perché, allora, Darwin e il “disegno intelligente” (che non presuppone di per sé né il creazionismo biblico né un “Creatore trascendente”) dovrebbero essere incompatibili?
“Kósmos” hanno chiamato il mondo i pitagorici. Un “ordine” che la scienza ha ulteriormente illuminato. Un ordine che il “Progetto genoma” ha esplorato anche tra i viventi. La scienza, è vero, ha scoperto anche molto disordine: siamo di fronte alla falsificazione del “disegno intelligente” (vedi sempre il bel libro di Telmo Pievani)? Siamo alla conferma che sia l’ordine che il disordine sono figli del “caso” e della “necessità”? Ma siamo proprio sicuri che l’ipotesi di un “Assolutamente Altro” dall’uomo è solo un’ipotesi da favola? Un’ipotesi da favola anche quella di un Divino immanente? La scienza tace. Dio, diceva il buon Pascal, è nascosto. Perché, allora, dovremmo deridere chi il Mistero non riesce proprio a sopportarlo e vuole “tappare i buchi”?