L’ultimo incontro del Caffè Filosofico – 10 maggio, dedicato al “filosofo” cremasco Giovanni Vailati - ha posto con forza, anche grazie alla competente ed intelligente relazione introduttiva dell’amico M. De Zan, presidente del “Centro Studi Vailati”, un problema di fondo quale quello del rapporto fra filosofia e scienza.
Un tema che andrà prima o poi, certamente ripreso, ma che già nel dibattito del 10 maggio ha mostrato spunti interessanti.
Più di uno ha sottolineato l’esigenza – oggi - di un rapporto, per così dire, di reciproca tolleranza fra filosofia e scienza, indicando in questo deporre le armi, la fine di ogni pretesa superiorità avanzata in passato dalla filosofia, e l’avvio di un momento proficuo per entrambi i modelli di conoscenza.
Altri hanno invece manifestato l’esigenza che filosofia e scienza definiscano bene i reciproci campi di azione per evitare confusioni ed equivoci .
Dire semplicemente che la filosofia può stimolare la conoscenza scientifica – e viceversa – mi sembra una ovvietà, ma non può essere considerata una posizione di sintesi fra le prime due tesi.
Per parte mia, sto dalla parte di chi anzitutto esige che l’ambito filosofico sia chiaramente delineato nel suo metodo e nel suo oggetto; solo dopo si potrà parlare di un confronto con il sapere scientifico (e con altri saperi, ad esempio quello religioso).
A questo riguardo dico – in termini discorsivi e quindi generici, a mo’ di approccio- che quando si ricercano “identità” fra le cose si fa una analisi di tipo filosofico; quando viceversa si ricercano le “differenze” fra le cose, allora si fa un discorso di tipo scientifico.
Certo, poi, c’è chi sostiene –quorum ego- che la filosofia indica razionalmente la capacità di individuare in cosa consista - senza peraltro negare le differenze - la totale identità per tutte le cose, nella loro appartenenza all’essere. (quali siano poi a tal proposito le conseguenze, la cultura metafisico-occidentale ancora neanche immagina!)
Fra l’indicazione filosofica (assoluta) della identità, e la scoperta scientifica (progressiva) delle differenze, c’è un rapporto immediato: non potremmo conoscere veramente le differenze se non sapessimo l’identità. Ma c’è anche un rapporto mediato tutto da esplorare: se fra le differenze tra le cose (risvolto etico: quindi fra gli uomini di pur diversa razza, cultura, religione, ecc.) esiste un sostrato di identità, tale sostrato dovrà, credo, pur essere considerato prevalente rispetto ad ogni differenza.
GIOVANNI VAILATI: IL CENTRO STUDI RACCONTA - RELATORE: MAURO DE ZAN
Incontro 10 maggio 2004
- parte
Il Centro Studi Giovanni Vailati è costituito da un gruppo di docenti e ex docenti che da alcuni anni si ritrovano e organizzano diverse attività o su Vailati o su iniziative culturali da proporre alla cittadinanza e in particolare agli studenti. Finalità del Centro non è solo la diffusione della figura e del pensiero di Vailati, ma anche quello di suscitare interesse verso temi scientifici e filosofici; in particolare di presentare ai giovani la scienza come sapere aperto, non dogmatico, libero e critico.
Queste le principali realizzazioni curate o coordinate dal Centro:
a) eventi culturali:
1999: convegno I mondi di carta di Giovanni Vailati
2000/01: incontri Gli orizzonti della scienza
2001/2002: incontri Gli orizzonti della musica
2002/2003: Seminari di filosofia
b) Iniziative editoriali:
AA.VV. Lezioni su Vailati, Centro Studi Vailati, Crema 1999
G. Amendola- L. Einaudi- N. Bobbio Scritti su Vailati, Centro Studi Vailati e Liceo Rachetti, Crema 1999.
AA.VV. I “Mondi di carta” di Giovanni Vailati, Franco Angeli, Milano 2000.
Bollettino del Centro Studi Giovanni Vailati per il 2001, Crema 2002.
G. Vailati Gli strumenti della ragione, a cura di M. Quaranta, Il Poligrafo, Padova 2003.
Annuario del Centro Studi Giovanni Vailati-2003, Crema 2004.
Il Centro ha individuato come suo progetto principale per i prossimi anni la realizzazione una nuova edizione dell’epistolario di Vailati, epistolario considerato dagli studiosi di storia della filosofia e della scienza come strumento indispensabile per l’analisi della cultura scientifico-filosofica italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Oltre a ciò il Centro ha in programma per il prossimo autunno un’altra serie di incontri sul tema della comunicazione.
- parte.
Presentare Vailati a Crema può sembrare un’operazione di sapore campanilistico: trovare in un autore cittadino spunti interessanti e originali, sottolinearne l’attualità e la sorte maligna che si è opposta alla sua meritata fortuna.
Fortunatamente oggi lo stato degli studi vailatiani ci mette abbastanza al riparo da questi pericoli. Oggi Vailati non ha bisogno per fortuna di essere riscoperto (se non forse dai cremaschi....).
Rimane comunque da ricordare che lo “strano caso” di Giovanni Vailati intellettuale europeo a lungo dimenticato presenta elementi interessanti per capire qualcosa della “cultura” filosofica italiana. Quali furono le cause che determinarono l’oblio in Italia di un filosofo-scienziato che godette di una ampia considerazione in Europa? Basta ricordare la morte prematura, il non aver prodotto un “trattato” o il non aver occupato una posizione accademica? Probabilmente il binomio scienziato-filosofo nel nostro paese non funziona, non ha diritto di cittadinanza (dai tempi di Galileo in poi). In effetti solo nei decenni post-unitari gli scienziati in Italia tornarono a trattare temi filosofici; successivamente questa finestra si richiuse fino a tempi recenti; e in questa finestra trovò spazio autorevole Vailati. Poi questa finestra si chiuse e Vailati scomparve per riapparire solo alla fine degli anni ’50 per essere apprezzato da una cerchia di studiosi piuttosto ristretta ma di certo valore: Dal Pra, Geymonat, Bobbio, Garin...
Logico, matematico, storico della scienza, epistemologo, per Vailati fu “naturale” occuparsi del rapporto scienza/filosofia. Questo rapporto deve essere “collaborativo”, rinunciando a dispute sulla supremazia dell’uno o dell’altro e va indagato a diversi livelli. La scienza genera filosofia, nel senso che suscita problemi filosofici e la filosofia dialoga con la scienza nel cercare soluzioni a questi problemi. In particolare la filosofia può togliere, con l’analisi degli atti linguistici, le questioni di parole che ostacolano il cammino della scienza. Ciò comporta due conseguenze: una visione aperta, non dogmatica, della scienza (la crisi delle certezze dalla scienza positivista), e insieme storica: solo indagando la storia della scienza si può dirimere diversi falsi problemi etc. Per Vailati si possono studiare “scientificamente” anche le teorie scientifiche; un po’ come gli scienziati studiano i cosiddetti “fatti”.
Se la filosofia può apparire l’operaia della scienza che tiene sgombra la strada che sarà percorsa dagli scienziati, è anche vero che la filosofia indaga i metodi scientifici, li valuta e li correla. Inoltre è compito del filosofo-scienziato riflettere sui limiti delle teorie: limiti che non vanno intesi in senso negativo. Spesso una teoria vale più per quello che rinuncia a dire che per quello che dice.
Vailati fu uomo di scuola e le sue indagini sulla teoria della conoscenza si intrecciano in modo fecondo con le sue riflessioni sull’insegnamento al punto che talvolta è difficile dove finisce l’epistemologo e inizia il pedagogista.
Dibattito
Data: 28.06.2013
Oggetto: Nota in margine alla discussione del Caffè Filosofico del 10 maggio 2004
Data: 28.06.2013
Oggetto: Risposta
Ringrazio Tiziano per la “nota a margine” al mio intervento che mi offre la possibilità di tornare sul tema dei rapporti scienza e filosofia sperando, come dice Tiziano, che su ciò si possa tornare a dibattere nel caffè.
Secondo Tiziano sono due gli schieramenti; coloro che ritengono che si sia giunti ad una tregua tra filosofia e scienza e quelli che invece sottolineano la necessità di una distinzione tra i due ambiti per evitare confusioni ed equivoci. In realtà credo che non sia corretto dire che al primo schieramento appartengono i tolleranti, coloro che vogliono la fine della guerra, quanto piuttosto coloro che non comprendono bene cosa si intenda dire quando si afferma che vi è una tregua tra filosofi e scienziati, perché semplicemente non credono che scienza e filosofia siano davvero in conflitto. Al contrario ritengono che tra esse vi sia una continua dialettica, un’osmosi quasi naturale. Per costoro infatti la filosofia non ha un oggetto proprio, ma consiste piuttosto in uno stile con cui si affrontano problemi che possono appartenere ad ambiti diversi. Non per nulla si parla di filosofia della musica, come di filosofia della matematica, dell’essere e della politica etc. Si può dire che uno studioso fa filosofia quando di fronte ad un problema invece di ricorrere ai soliti ferri del mestiere (quelli tipici della sua disciplina) si mette per così dire in gioco, cioè affronta il problema da una prospettiva generale, è disposto a rivedere le metodologie, i principi, i paradigmi, i linguaggi etc. finora utilizzati, scruta i confini della sua disciplina e ficca il naso nelle vetrine dei suoi colleghi che si occupano di discipline diverse per vedere se può cavarci qualche idea che possa aiutarlo. Quando insomma uno scienziato, ma anche uno studioso di musica o matematica, agisce così, possiamo dire che si mette in una prospettiva filosofica e quasi sicuramente finirà coll’andare a curiosare tra le pagine dei filosofi antichi e moderni. La cosa infatti incredibile è che quando si affronta un problema da un punto di vista filosofico possiamo trovare aiuto in autori lontani nel tempo così come in autori contemporanei. Perché ciò avviene? E perché solo ( o quasi) per i testi filosofici? Sinceramente non so dare una risposta esaustiva, ma credo che ciò ha a che fare con alcune caratteristiche dello stile tipico del ragionamento filosofico. Innanzitutto con quella che chiamerei la “sincerità” dei testi filosofici: cioè con la reale problematicità che traspare da essi. Un testo filosofico ci prende perché “racconta” l’avventura intellettuale del suo autore, le sue difficoltà, i problemi che ha cercato di sciogliere, il confrontarsi con le soluzioni e percorsi di altri autori etc. Proprio per questa onestà intellettuale le opere dei veri filosofi sono degli “ever green”, dei classici che non appaiono mai vecchi.
Certo non voglio dire che i rapporti tra scienziati e filosofi debbano essere necessariamente idilliaci: fanno benissimo i filosofi a rimproverare gli scienziati quando questi tendono a dogmatizzare il loro sapere, a chiudersi in un’eccessiva specializzazione, o a credere che la loro specifica disciplina abbia uno status particolare, sia insomma superiore alle altre. E d’altra parte fanno bene gli scienziati a “sfottere” quei filosofi che si impicciano di cose di cui non capiscono nulla, facendo solo danni e confusione, come fece a suo tempo il genio di Pescasseroli, all’anagrafe Benedetto Croce. Ma questa tensione, che del resto si ritrova in ogni ambito intellettuale ed è il sale dello stesso sviluppo della conoscenza (almeno come la intendiamo in occidente), non è segno di un conflitto inevitabile tra due diversi tipi di sapere. Se così fosse dovremmo dire che grandi pensatori che furono al contempo filosofi e scienziati erano degli schizofrenici o qualcosa di simile, mentre dalle loro biografie e testi emerge come l’una competenza abbia interagito positivamente con l’altra. Comunque anche quando non siamo di fronte a grandi geni, mi pare inevitabile che un filosofo sia interessato a cercare di capire, perlomeno, quali sono gli sviluppi del sapere scientifico e lo scienziato, pur preso dalla sua specializzazione, cerchi di dedicare un po’ di tempo a speculazioni filosofiche e in ciò andrà incontro alla filosofia, o almeno a quegli autori che lo interesseranno. A me è capitato più volte di incontrare persone che lavorano in ambiti scientifici con conoscenze filosofiche di tutto rispetto e con un’apertura mentale davvero “filosofica”.
Non credo insomma che vi siano davvero modi di conoscenza essenzialmente diversi tra filosofia e scienza; al fondo gli uni e gli altri indagano con gli strumenti logici e conoscitivi che abbiamo a disposizione la realtà; cambia l’accento sul modo di usare questi strumenti e sul grado di fiducia che abbiamo nei confronti delle nostre conoscenze e dei nostri strumenti. Ma anche su ciò la questione è complessa: talvolta sembrano essere gli scienziati ingenuamente fiduciosi negli strumenti della ragione, tal’altra sembrano essere i filosofi eccessivamente orgogliosi del loro presunto sapere diverso e superiore.