LA CONSULENZA FILOSOFICA: AIUTARE CON LA FILOSOFIA - RELATORI: PIETRO PONTREMOLI, STEFANO TANTURLI

10.04.2006 21:00

“Avere una “visione del mondo” significa possedere una costruzione intellettuale che risolve in modo unitario tutti i problemi esistenziali, e nella quale nessun problema rimane aperto , e tutto ciò che interessa trova la sua precisa collocazione.” Troppo? Allora si può dire: lo scopo della Consulenza Filosofica è quello di offrire l’opportunità di esplorare, scoprire e rendere chiari schemi di pensiero e di azione, per vivere più consapevolmente, facendo un uso migliore delle proprie risorse culturali.

Ognuno, come Atlante, regge sulle spalle o la volta del cielo o il globo terrestre in base alla propria visione del mondo: ed è necessario reinterpretarla quando essa diventi un peso più che una conquista o una bussola. A questo serve il filoso-fare.

Valore, significato e senso sono le parole chiave. La consulenza filosofica offre valore all’esistere, significato alla propria presenza e senso al futuro.

Pietro Pontremoli: laureato in filosofia Università degli Studi di Pavia; insegnate counselor e giornalista; ha frequentato la scuola superiore di Counseling Filosofico a Torino conseguendo il diploma di Counselor Filosofico. Insegna filosofia, storia, psicologia e pedagogia presso Istituti Superiori e Scuole di Formazione.

StefanoTanturli: Laurea in Filosofia a indirizzo psicologico presso l’Università degli Studi di Milano, sta ultimando un corso di formazione triennale in Counseling Filosofico. E’ uno dei fondatori della Rivista Italiana di Counseling Filosofico e membro della Società Filosofica Italiana. Ha attivato un servizio di Counseling Filosofico in studio privato, nonchè rivolto agli studenti di alcune scuole superiori di Crema.

 

 

 

dr. PIETRO PONTREMOLI

counselor
tel. 3475555280

dr.pontremoli@libero.it

Studio:

- PAVIA, piazza Municipio 4

- CREMA, via Mulini 7

 

La Filosofia

nelle

Relazioni d'aiuto

 

 

Socrate

e

Atlante

ovvero

Consulente

e

Consultante

 

Il linguaggio dell’affetto è

sicuramente più antico del linguaggio verbale

[M. Brierly]

Chi si mette in atteggiamento di ascolto è aperto in un modo più fondamentale.

Senza questa radicale apertura reciproca non sussiste alcun legame umano.

L’esser legati gli uni agli altri, significa sempre, insieme, sapersi ascoltare reciprocamente.

[H. G. Gadamer, Verità e metodo]

Bisogna essere capaci di ammirazioni impetuose

e accogliere in cuore molte cose con amore:

altrimenti non si è adatti a fare i filosofi.

[F. Nietzsche, Frammenti postumi]

Non si fanno esperienze senza porre delle domande.

Il pervenire a conoscere che le cose stanno in modo diverso

da come si credeva inizialmente presuppone ovviamente

che si sia passati attraverso la fase della domanda,

che ci si sia chiesti se le cose stiano in questo o quel modo.

[H. G. Gadamer, Verità e metodo]

È la potenza dell’opinione

quella che rende così difficile l’ammissione del non sapere.

L’opinione è quella che

impedisce la domanda.

[H. G. Gadamer, Verità e metodo]

Abbandoniamoci dunque per intero

alla dolcezza di conversare con l’anima,

perché essa è l’unica cosa

che gli uomini non mi potranno mai togliere.

Se a forza di riflettere sulle mie disposizioni interiori

giungerò a metterle in miglior ordine e a correggere il male

che vi si può ancora trovare,

le mie meditazioni non saranno completamente inutili;

e anche se non sono più buono a nulla sulla terra,

non avrò perduto del tutto i miei ultimi giorni

[J.-J. Rousseau, Le passeggiate del sognatore solitario]

 

 

IL CIELO DI ATLANTE

Relazione viene dal latino relatus, participio passato di referre il cui significato primitivo è portare indietro, o di nuovo (re-ferre); relazione, dunque, sta anche per racconto che ci riporta al passato.

Rapporto viene dal verbo re-portare, portare indietro o di nuovo ma ha anche il senso di una narrazione.

L’etimo di relazione propone quindi immagini di movimento, di azione in uno spazio circoscritto perché come detto attiene all’area del ferre latino, cioè del portare, che a sua volta contiene il termine lator colui che porta, derivato dalle radici arcaiche indoeuropee Tlat sollevare – e Tullas bilancia: Atlante, eroe della lotta per la verticalità, impegnato nello sforzo di sollevare il mondo.

L’idea di pensare ogni consultante – in particolare se adolescente – come un Atlante che regge sulle spalle la volta del proprio cielo o il proprio globo terrestre, oltre ad essere suggestiva, descrive perfettamente la situazione della relazione di counseling. Con una differenza significativa. La condanna di Zeus verso il Titano è, nel caso del consultante, potenziale autocondanna. Nel consultante ci sono le condizioni per il potenziamento, la riorganizzazione e la mobilitazione delle risorse personali e per il fronteggiamento, la risoluzione e il superamento di situazioni di crisi. Essere condannati è, a volte, una scelta. Come dire che Zeus per noi siamo noi stessi.

Ri-cercare il senso ed il significato è il modo attraverso il quale nel counseling filosofico si opera.

Utili alleati per la ricerca di tale senso ho ‘scoperto’ essere i principi della Terapia Razionale Emotiva (RET).

Riuscire a pensare in modo razionale gli eventi, direbbe Albert Ellis, facilita la comprensione degli eventi stessi trasformandone l’impatto traumatico.

In alcuni incontri che ho avuto con persone sotto i trent’anni ho notato, ad esempio, che la doverizzazione è uno dei ‘mali’ più frequenti. Soprattutto negli adolescenti le doverizzazioni appaiono tanto frequentemente da portare a pensare che la Horney avrebbe potuto scrivere a loro: “Vi rendete inutilmente e nevroticamente infelici a causa della vostra adesione a convinzioni assolute e irrazionali, e, soprattutto, a causa della vostra convinta accettazione di doverizzazioni incondizionate”. Con la filosofia è possibile giungere a smontare le assolutizzazioni e l’incondizionatezza. ‘Usando’, ad esempio, Epitteto ed il suo “Sopporta ed astieniti!”. Con Elisa (21 anni) , venuta da me proprio perché si sentiva “come nella morsa dei sentimenti e dei doveri”, è successo questo: abbiamo parlato della libertà, dell’indipendenza interiori rispetto alle cose esterne. Abbiamo ‘elencato’ le cose che non sono in nostro potere. Siamo arrivati alla conclusione che i sentimenti, le opinioni ed i desideri sono in nostro potere. Siamo noi a dirigerli e sceglierli. Elisa, dopo otto incontri, si è convinta che era meglio ‘sopportare ed astenersi’.

Aggiungo ora un’annotazione riguardante il contesto di ricerca proprio del counseling filosofico.

Non condivido l’idea che in tale contesto non vadano programmati tempi e modalità. Anche nel counseling filosofico il setting è davvero un contenitore di ricerca con proprie caratteristiche e peculiarità. Tempi e modalità, a mio avviso, vanno stabiliti da subito. Non intendo il numero degli incontri, ma di certo la durata dei singoli incontri, gli orari ed i giorni della settimana nel caso in cui al primo incontro se ne fissino di ulteriori.

Soprattutto con gli adolescenti la delimitazione di aree spazio-temporali ha la positiva funzione di portarli, anche fuori dalla relazione specifica, a ri-flettere sul problema sentito come urgente. Frasi del tipo “Ci ho pensato in questi giorni” manifestano un lavoro di ri-cerca che prosegue anche fuori dalla relazione. Riflessione continua e costruttiva, dunque.

Lungi questo dal vincolare la relazione a tempi rigidi. Gli incontri è necessario che abbiano una scansione determinata ed offrano al consultante la certezza della relazione.

 

IL COUNSELING AD ORIENTAMENTO FILOSOFICO. IL METODO DI SOCRATE.

Userò la formula consulenza (counseling) ad orientamento filosofico perché meglio inquadra, a mio personale avviso, la pratica in questione.

Intendo la parola consulenza nell’accezione in cui viene proposta da Umberto Galimberti per cui essa sarebbe una forma di rapporto interpersonale in cui un individuo (consultante) che ha un problema, ma non possiede le conoscenze o le capacità per risolverlo, si rivolge a un altro individuo, il consulente, che, grazie alla propria esperienza e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione; al tempo stesso considero l’orientamento filosofico come una delle modalità – non certo la sola – per aiutare a trovare una soluzione. Per orientamento filosofico non intendo l’uso della filosofia come se essa fosse un jarmakon: una sorta di rimedio da prescrivere per o contro qualche cosa o, nella peggiore delle ipotesi, addirittura un ‘beveraggio magico’, quasi un incantesimo. Voglio allontanare l’idea che si possa aiutare attraverso un uso spicciolo della filosofia, un uso pratico nel senso più basso del termine, attraverso semplici massime estrapolate dai testi filosofici. Direi che la competenza di un filosofo non viene ricercata per affrontare problemi ‘astratti’ o discutere dei ‘massimi sistemi’ , ma difficoltà concrete, personali e quotidiane. Allora per orientamento filosofico intendo ciò che effettivamente determina l’intera consulenza, la metodologia, il metodo: il meq-odoV (laddove odos significa via, sentiero, cammino). Un qualche cosa che si vede e non si vede completamente, ma che si sente, si vive ed esperisce. Non tanto, allora, parlare di filosofia con il consultante, quanto piuttosto ‘percorrere un sentiero con lui filosoficamente’. Ed è forse meglio parlare di un sentiero che si percorre nel cammino della conoscenza piuttosto che non di una strada: nel senso che, come ha acutamente sottolineato Walter Benjamin, le “strade” indicano qualcosa di improblematico e di banale mentre i “sentieri” implicano una conoscenza che si raggiunge con più aspra fatica ma con più luminose certezze. A tal proposito i filosofi sono “grandi” che “nel loro carattere sovrastorico risultano eterni contemporanei” che riescono a condurre (nel significato di ‘giovare’, ‘essere utile’) facendo quae saluti tuae conducere arbitrater (“ciò che ritenevo giovare alla tua salvezza”). È per tali ragioni che lorientamento risulta proprio quello che la sua etimologia manifesta: un nascere, un sorgere. Dall’orientamento nasce un modus operandi che indirizza la relazione consultante-consulente in un determinato senso, quello filosofico appunto. E per orientamento filosofico intendo allora quello proposto in certa maniera dal modello socratico. La maieutica di Socrate mi pare possa davvero essere un punto di riferimento data la sua capacità di creare le condizioni perché l’allievo (il consultante) porti alla luce le sue conoscenze (abilità, capacità). Tale metodo risulta opposto a quello catechetico.

Nell’ambito di una relazione di counseling uno dei problemi che più mi hanno portato a riflettere è a che livello vada usata la non-direttività e quando, invece, sia ‘lecito’ essere direttivi. Voglio dire che, a tutta prima, ‘l’arte del far partorire’ socratica, che considero il modello della relazione di counseling ad orientamento filosofico, è del tutto antitetica al metodo direttivo. Un po’ come indicare dei cartelli su di un sentiero senza precisare quale sia il cartello seguendo il quale si esce dall’intricato percorso. Attivare nel consultante le energie per comprendere quale sia la via più consona alle sue esigenze del momento. Ecco il fine.

Direttività, dunque, la intendo nel senso di indicare e non costringere. Solo un mostrare, un far conoscere le alternative.

Rimango dell’idea che il metodo maieutico è certo il più consono ad una consulenza ad orientamento filosofico.


(1) Tratto da Niels Peter Nielsen, Pillole o parole?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998, p. XI.

(2) Non intendo dilungarmi su tale approccio, ma solo annotarlo come buon alleato che uso negli incontri ‘purificandolo’ di tutte le sue componenti eminentemente psicologiche.

(3) Karen Horney è stata la prima ad aver parlato di ‘tirannia dei doveri’.

(4) Vd. Albert Ellis, L’autoterapia razionale emotiva, Erickson, Trento, 1993, p. 69.

(5) Il nome della cliente è stato modificato, l’età è quella reale.

(6) Qui consulenza e counseling sono usati come sinonimi, pur avendo il termine counseling una sua ulteriore specificità: quella di essere una delle forme di consulenza. A tal proposito cfr. Umberto Galimberti, Psicologia, Garzanti, Torino, 1999, pp.237-238. Da qui in poi la parola counseling verrà usata sottintendendo l’accezione – per nulla accessoria – ad orientamento filosofico o filosofico.

(7) Anche se ciò non è detto che non avvenga.

(8) Tratto da Eugenio Borgna, Come se finisse il mondo, Feltrinelli, Milano, 2002, pag. 43.

(9) Karl Jaspers, I grandi filosofi, Longanesi, Milano, 1959, p. 117.

 

 

 

I tre momenti in un set di incontri di counseling

     
1° Momento 2° Momento 3° Momento
     
Inizio Focalizzazione delle motivazioni del problema Conclusione
     
Empatia / Immedesimazione / Identificazione / Fiducia / Ascolto attivo Domandare nel ‘qui ed ora’ e rispondere.

Riformulazione

Nel momento in cui il pensiero della realtà ed il modo di sentirla hanno effetti ritenuti positivi dal consultante, la relazione può avere termine.
     

 

Pietro Pontremoli

 

 

Dott. Stefano Tanturli

Counselor & Consulente Filosofico

Via Nenni, 21 - 26013 Crema (CR)

tel: 338-52.49.605

Associato:

S.I.Co.F. (Società Italiana Counseling Filosofico)

C.so Fiume 16, 10133 Torino;

S.F.I. (Società Filosofica Italiana)

Via Nomentana 118, 00161 Roma

Via Festa del Perdono 7, 20122 Milano.

 

 

Caffè Filosofico - Crema

Lunedì 10 Aprile 2006

La Consulenza Filosofica

Stefano Tanturli

 

Premessa

Una precisazione terminologica: nell’esposizione utilizzerò indistintamente il termine Consulenza Filosofica e Counseling Filosofico. Non mi addentrerò in un’analisi dettagliata di ciò che tra gli addetti ai lavori è stato denominato «il nome della cosa» e sta creando tuttora stimolanti disquisizioni.

Che cos’è la Consulenza Filosofica? E’ un modo di filoso-fare. E’ una parte della filosofia che enfatizza la prassi, pur non trascurando gli aspetti teoretici.

L’orizzonte di senso della Consulenza sono le cosiddette Pratiche Filosofiche, sorte a partire dalla fine degli anni ’60 (il tema centrale del IX Congresso Tedesco di Filosofia del 1969 è stato la filosofia pratica, il dibattito è tuttora in corso), dapprima in Europa, successivamente oltreoceano.

Una delle principali Pratiche Filosofiche è il Cafè Philo, il primo dei quali ufficialmente organizzato a Parigi nell’estate (luglio) del 1992, grazie all’ispirazione del filosofo francese Marc Sautet (1947-1998). L’esperienza pionieristica parigina ha avuto larga eco; sono infatti sorti in breve tempo centosettanta Caffè in Francia e un’ottantina nel resto del mondo (anche in Honduras e in Nicaragua). In Italia, pionieristico è stato il Caffè Filosofico, allo storico Caffè Giubbe Rosse di Firenze, inaugurato nel 2001. Il Caffè Filosofico di Crema vanta ormai tre anni di vita pertanto può, a tutti gli effetti, considerarsi un ottimo punto di riferimento di Pratica Filosofica.

Un altro aspetto delle suddette Pratiche sono i Viaggi Filosofici. Carmelo Vigna, docente di filosofia morale all’Università di Venezia, organizza una vacanza filosofica dal 23 al 30 luglio 2006 in Sicilia.

Altre prassi filosofiche sono i Seminari di Gruppo. Non sono semplici lezioni teoriche ma luoghi dove la filosofia diventa un modus vivendi. Proposti dallo stesso Sautet in Francia, in Italia approdano recentemente in ambito accademico, nell’università di Milano e di Venezia grazie ai contributi di Romano Madera (docente di filosofia morale e pratiche filosofiche all’Università di Milano) e di Luigi Vero Tarca (docente di filosofia teoretica nell’ateneo di Venezia).

Ulteriori Pratiche Filosofiche sono la Philosophy of Management, sviluppatasi negli ultimi anni in gran parte del mondo industrializzato, e la Philosophy for Children, la filosofia nelle scuole elementari, approdata in Italia agli inizi degli anni ’90.

La Consulenza Filosofica si inserisce in questo processo, «relativamente» recente, di enfatizzazione della prassi. «Relativamente» perché in effetti fu Aristotele a distinguere (nell’Etica Nicomachea), per la prima volta nel pensiero occidentale, la filosofia pura (teoretica) dalla filosofia pratica, la sapienza dalla saggezza: sophía (la più alta conoscenza delle cose più eccellenti) da phrónesis (la conoscenza delle faccende umane e del miglior modo di condurle).

La Consulenza Filosofica è, dal mio punto di vista, l’enfatizzazione della phrónesis nella sophía.

La consulenza filosofica

Che cos’è quindi la Consulenza Filosofica? E’ una relazione d’aiuto (non un semplice rapporto interpersonale) in cui un esperto (il Counselor) offre al Consultante la propria competenza di metodo e culturale (nel campo specifico della filosofia) al fine di risolvere e rispondere a specifiche domande dell’esistenza. Il Counselor Filosofico è una sorta di facilitatore, di catalizzatore di processi decisionali e chiarificatori; cercherà pertanto di favorire una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione.

Nell' ambito della Consulenza Filosofica grande importanza viene data dalla relazione interpersonale, come fondamentale occasione per filoso-fare. E' nel e dalla relazione che si sviluppa il discorso filosofico, che risulta perciò ben finalizzato e concreto. E' nel e dal problema reale che nasce la riflessione filosofica. Non quindi una filosofia fine a se stessa, che si risolve nella pratica astratta e lontana dalla realtà, bensì un atteggiamento che consente di agire e di intervenire sulle questioni della vita.

Lo scopo della Consulenza Filosofica è quello di offrire l’opportunità di esplorare, scoprire e rendere chiari schemi di pensiero e di azione, per vivere più consapevolmente, facendo un uso migliore delle proprie risorse. Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore di venirle in aiuto non è quello di dirle che cosa fare, quanto piuttosto quello di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema prendendo da sola e pienamente le responsabilità delle eventuali scelte. La relazione d’ aiuto quindi, non consiste nel proporre soluzioni ma, al contrario, nel facilitare nel soggetto il processo di decisione responsabile, attraverso risposte di comprensione-facilitazione da parte del Counselor. È quindi un percorso volto all’autonomia del soggetto, promuovendo nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato.

La Consulenza Filosofica identifica una forma di intervento indirizzata a persone che non presentano patologie psichiche. Sovente gli addetti ai lavori sostengono che è una terapia per sani. E’ possibile pertanto identificare una serie di problemi, propri dell'esistenza normale, e quindi non definibili come patologici, che rappresentano i campi di intervento specifici della Consulenza Filosofica: i disagi esistenziali (il senso della vita, la malattia, la morte, l' amore, la felicità, la tristezza, …); i conflitti che derivano da difficoltà decisionali (riguardanti se stessi, i rapporti di coppia, la famiglia, gli studi, le scelte professionali, il lavoro, …); le questioni riguardanti interrogativi etici e morali (la fedeltà, la libertà, la giustizia, l'aborto, la fecondazione artificiale, l'eutanasia, i trapianti, la donazione di organi, …); le esigenze intellettuali di ricerca e conoscenza, che comprendono l' eventualità, rara ma possibile, che venga richiesto un supporto filosofico fine a se stesso, per il solo piacere appunto di soddisfare un’esigenza intellettuale.

Vi è poi una serie di condizioni, definibili casi di confine, abitualmente trattate dalla psicoanalisi o dalla psicoterapia, che possono essere considerate un'area di sovrapposizione tra il patologico e il non patologico. Il che vuol anche dire che, per le loro caratteristiche, possono trarre beneficio sia dall'approccio della Consulenza Filosofica che da quello psicoterapeutico (Psichē nell’antica Grecia indicava il fiato, il respiro, per estensione anche: la vita, l’esistenza, l’anima, lo spirito. Therapeìa significava il prendersi cura, l’arte del curarsi di qualcuno: filosoficamente la psicoterapia potrebbe essere intesa quale «cura dell’anima»). Tra i suddetti casi di confine dobbiamo considerare: le condizioni di angoscia e depressione esistenziale derivanti da una pervasiva sensazione di svuotamento interiore con perdita di significato dell’esistenza; le cosiddette crisi esistenziali tipiche delle età di transizione (l'adolescenza, la mezza età , la menopausa e l’andropausa, la terza età, la senescenza, …); le crisi di valori e significati derivanti da questioni specifiche, che comportano sovente una perdita dell’equilibrio emotivo; gli aspetti della personalità che contribuiscono a definire la tipologia personale e che in alcuni casi creano disagi personali (la timidezza, l’irritabilità, il pessimismo, l’insicurezza, …).

Come in altri settori, relativi alle relazioni d' aiuto, anche per il Counseling Filosofico è importante riferirsi a professionisti che abbiano svolto un adeguato percorso di formazione ed addestramento. Secondo i criteri stabiliti dall’Albo Professionale dei Counselor Filosofici possono esercitare questa professione coloro che, in possesso di una laurea specialistica (in filosofia, in pedagogia, in psicologia o in scienze affini), abbiano seguito specifici corsi di formazione di durata almeno triennale, con un tirocinio personale ed una supervisione. L'Albo raccoglie quindi professionisti con un curriculum che è stato riconosciuto adeguato ad affrontare i vari problemi esistenziali.

Breve storia della Consulenza Filosofica

Ufficialmente la Consulenza Filosofica nasce in Germania venticinque anni or sono, nel 1981. Il fondatore della Consulenza è un filosofo che non compare ancora nei più recenti manuali di storia della filosofia contemporanea: Gerd Böttcher Achenbach, tedesco, classe 1947. All’età di trentaquattro anni ottiene il dottorato in filosofia (con una tesi su Hegel intitolata Il piacere e la necessità, vertente su una parte della Fenomenologia dello spirito) e lo stesso anno, il 1 maggio 1981, apre a Bergisch Gladbach (una città di circa centomila abitanti, situata dieci chilometri a est di Colonia) il primo studio professionale di filosofia al mondo, con il nome di Istituto per la Pratica Filosofica e la Consulenza (Institut für Philosophische Praxis und Beratung).

Una precisazione è d’obbligo: Praxis nella lingua tedesca non rinvia solamente al concetto di Pratica ma denota anche lo studio professionale (dell’architetto, del commercialista, ecc.); nel parlato, in particolare, indica lo studio del medico. La lingua italiana e nemmeno quella inglese sfortunatamente non offrono la suddetta ambivalenza di significati, pertanto la Philosophisce Praxis si è diffusa nel mondo anglosassone con la denominazione Philosophy Practice, Philosophical Practice, Philosophical Counseling, Philosophical Counselling; in Italia, principalmente con la denominazione Counseling Filosofico e/o Consulenza Filosofica (Filosofia Pratica, Pratica Filosofica, Prassi Filosofica, Psicofilosofia sono meno significativi tra gli addetti ai lavori).

In pochi anni la Consulenza Filosofica si diffonde in altre città della Germania, nel resto d’Europa e in gran parte del mondo industrializzato. Sorgeranno studi privati di Consulenza Filosofica in (cronologicamente): Austria, Olanda e Canada, Norvegia, Israele, Svizzera. Nel 1994 la Consulenza Filosofica sbarcherà negli Stati Uniti, sarà poi la volta della diffusione in Francia, Inghilterra, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Slovacchia, Turchia, Sudafrica, Australia e Giappone.

In Italia la Consulenza Filosofica approderà solamente nel 1999, quando a Torino prende vita il primo Gruppo di Studio e Ricerca, e viene fondata l’Associazione Italiana Counseling Filosofico (A.I.C.F.) successivamente denominata, a partire dal 2001, Società Italiana Counseling Filosofico (S.I.Co.F.). Nel 2002 è stato organizzato il I Convegno Nazionale di Counseling Filosofico, lo scorso anno (nel 2005) il secondo. La 1st International Conference in Philosophical Practice è stata organizzata nel 1994 a Vancouver (Canada), l’8th International Conference avrà luogo dal 20 al 22 aprile del 2006 a Siviglia (Spagna), la 9th è molto probabile che si svolgerà in Italia. Sto personalmente organizzando un Convegno sulla Consulenza Filosofica che si terrà nel mese di ottobre 2006, presso l’Università degli Studi di Milano e sarà patrocinato dalla Società Filosofica Italiana.

Conclusioni

Una Consulenza Filosofica senza alcun fondamento metafisico non avrebbe senso, pertanto uno sguardo al passato, ai protagonisti del pensiero occidentale, è d’obbligo, ma è necessaria una precisazione: il sottoscritto condivide la convinzione di alcuni ermeneuti secondo la quale un autore (filosofo) possa parlarci con un linguaggio differente a seconda del punto di vista con il quale si legge un’opera. Personalmente ho avuto l’occasione di ri-frequentare e ri-scoprire, nell’ottica della Consulenza Filosofica, alcuni pensatori che avevo conosciuto solo durante il mio percorso formativo accademico.

Il punto di partenza della nuova ricerca filosofica, ispirato dal suddetto punto di vista è (per la maggior parte degli addetti ai lavori, me compreso) la maieutica socratica. L’arte di ostetrico, esposta nel Teeteto, consiste infatti nel riuscire a far nascere dall’individuo (prendendone coscienza) le conoscenze che sono già presenti in esso. Il dialogo socratico (platonico), in quest’ottica non è più la semplice esposizione di una dottrina, bensì un metodo per condurre un interlocutore a un determinato atteggiamento mentale, un esercizio che induce l’altro a mettersi in questione, a pre-occuparsi di se stesso.

In quest’ottica ho dato inizio a un nuovo (del tutto personale) cammino di ricerca filosofica: ho ri-valutato la retorica sofistica, poi ho ri-visitato Platone e Aristotele (il primo non più solo come il teorico del mondo delle idee ma anche come il «consigliere» di Dionìgi II, tiranno di Siracusa; l’altro altresì come il «precettore» di Alessandro III di Macedonia) e sono ri-entrato nel Giardino (epicureismo) e sotto il Portico (stoicismo). Ho analizzato nuovamente il problema degli universali nella Scolastica medievale e ho re-interpretato, tra l’altro: la Volontà di Schopenhauer come un aspetto positivo dell’esistenza («la grandezza del mondo, che prima ci turbava, ora riposa serena in noi […], siamo tutt’uno col mondo, e quindi la sua immensità in realtà non ci abbatte, ma ci risolleva»), l’Aut-Aut di Kierkegaard come una presunta alternativa (infatti «la grandezza non consiste nell’essere questo o quello, ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole») e il Superuomo di Nietzsche che si trasfigura nell’Ecce Homo (rammentandoci Come si diventa ciò che si è).

In conclusione, la Consulenza Filosofica ha dischiuso in me una nuova Visione del Mondo che mi orienta nella filosofia (nella «ricerca che da quasi ventisei secoli gli uomini dell’occidente conducono intorno al proprio essere e al proprio destino»), nel filoso-fare (la mia attività professionale) e nella vita.

Stefano Tanturli

 

 

 

Dibattito

Data: 22.06.2013

Autore: Luca Lunardi

Oggetto: La Filosofia non si insegna e non si impara.

Purtroppo scettico ero e scettico sono rimasto, rispettivamente prima e dopo l’ultimo incontro al Caffé Filosofico dedicato ai consulenti filosofici. Prima pensavo insistentemente ai sofisti, poi sdoganati esplicitamente dal primo dei relatori. Dopo, ancor più scettico per l’irrisolta intersezione col dominio della psicologia – questione ancora sul tavolo attorno al quale i fondatori del counseling filosofico si siedono per definire lo status della loro disciplina. Mi dispiace di dover turbare il coro di approvazione, proveniente anche da un analista la cui opinione è da addetto ai lavori e dovrebbe quindi farmi ricredere.

Faccio un esempio per introdurre il nucleo delle mie perplessità, che forse è banale e sbrigativo, ma che potrebbe essere calzante. Poniamo che una persona si venga a trovare, per traversie personali, nel mezzo di una crisi “esistenziale” i cui contorni siano mal definiti anche per chi la vive. Decide di rivolgersi ad un consulente filosofico, nella speranza di alleviare la sofferenza se non di risolvere radicalmente il problema in tempi ragionevoli, poiché è un mortale (ed anche perché il suo portafogli ha una capacità limitata). Lasciando pure da parte l’indagine psicologica che rischierebbe comunque di diventare preponderante rispetto all’analisi schiettamente filosofica, mi chiedo cosa potrebbe fare quest’ultima all’interno di un rapporto formalmente definito, temporalmente circoscritto, inquinato dall’aspetto economico che il cliente non potrà mai trascurare, attorno a temi che per loro natura non si lasciano mai e poi mai esaurire in poche pillole vendute a dosi omeopatiche. Io temevo e mi aspettavo, durante le relazioni, che l’espressione problema esistenziale facesse capolino; quando è emersa, ho avuto la conferma che in futuro non mi rivolgerò ad un consulente filosofico nemmeno in un ipotetico caso di bisogno. I relatori, giustamente, hanno insistito sul fatto che sarebbe un grosso errore considerare la consulenza filosofica come la somministrazione di pastiglie di saggezza per curare la mente smarrita, estrapolate dall’oceano sterminato degli aforismi degli ultimi duemilaseicento anni. Ma per non fare questo, l’unico modo davvero onesto fino in fondo di meditare sulle questioni mortali che toccano l’esistenza dell’uomo è quello di condurre un’indagine ininterrotta, e spesso tormentata, sul suo senso. Vogliamo forse credere che un Kierkegaard o uno Jaspers, arrivati a concepire i concetti di angoscia o di scacco, si siano definitivamente acquietati e affrancati dalla crisi che li aveva portati alle loro riflessioni, illusi di aver trovato la via per risolverla o dissolverla? Se mi si viene a dire che “problema esistenziale” è l’essere abbandonati da una persona che si ama, allora questo non è un problema filosofico: quella persona soffre per un motivo ovvio. Il motivo è pleonastico: è stata abbandonata dalla persona amata. Punto. Come è ovvio che si faccia domande pesanti sui motivi per cui è stata indotta a fare progetti impegnativi, o a sentirsi morbosamente dipendente dall’altro, fino alla delusione finale. Ma qui le risposte risiedono nel vissuto e nella struttura psichica, non nella filosofia che finirebbe per essere, a dispetto delle intenzioni, solo un palliativo ingannevole. A volte capita di udire che un cultore di filosofia sarebbe in grado di risolvere i problemi della vita perché in possesso di chissà quale sapere iniziatico che lo eleva ad un maggiore grado di comprensione delle cose. Da questa fuorviante immagine si potrebbe illegittimamente desumere che il colloquio col “filosofo” possa svelare i nuovi magnifici orizzonti in grado di far intravedere la verità e offrire la nave per navigare il mare della vita. Ma anche nell’ipotesi che il maestro fornisca una chiave d’accesso ad una Weltanschauung che l’allievo accetta entusiasta, per dire che quest’ultimo l’ha fatta veramente propria occorre che il medesimo viva in accordo con essa, la mediti e la pratichi: in breve, deve rielaborarla e ricrearla dentro di sé, fino a farla diventare una sua creatura. La Filosofia non si insegna e non si impara: la si deve sentire. Il suo studio, nelle parole e nella vita di chi l’ha praticata, è indispensabile per formarsi una coscienza attorno ai suoi problemi e per cercare di entrare in rapporto empatico con le soluzioni trovate dai grandi uomini del passato e del presente. Ma l’ultima parola resta al singolo – il singolo che diventa filosofo nel momento in cui vede il mondo con spirito critico. E non mi si dica che devo sedermi davanti ad una scrivania, di fronte ad un professionista anche in perfetta buona fede, per formarmi quello spirito. Al massimo, potrò avere qualche… pillola, appunto.

Ecco allora che, a mio modo di vedere, lo sbaglio di ridurre la consulenza filosofica alla somministrazione di pillole cozza contro una barriera molto più larga e solida di quanto si potrebbe pensare, la quale fa ricadere quell’attività professionale nell’errore che vorrebbe evitare. Il rapporto cliente – consulente si colora di tinte strumentali e magari un po’ superficiali. Immagino il consulente consigliare di leggere la tal cosa, o esporre il tal punto di vista; cos’altro potrebbe fare? Potrebbe dialogare, certo: ma come giustamente rilevato durante il dibattito, il risultato sarebbe il ripiegamento del cliente verso la “soluzione” più o meno preconfezionata o la “visione del mondo” del consulente, il quale tra l’altro ha con tutta probabilità capacità persuasive e retoriche superiori a quelle del cliente, il quale alla fine converrà. Converrà, e magari “guarirà”: se il solo scopo era in fondo questo, potrebbe andar bene; ma era davvero questo lo scopo? Il consulente filosofico è un medico, o è qualcuno che dovrebbe fornire al cliente gli strumenti e la consapevolezza per trovare la soluzione dentro di sé rispettando l’identità personale? Nel primo caso, quella professione si riduce fatalmente ad una distribuzione utilitaristica di farmaci intellettuali, che peraltro non avrà arricchito granchè il cliente; nel secondo, trattasi di un’attività che non rispecchia la gerarchia “consulente esperto” – “cliente bisognoso”, ma riflette piuttosto il rapporto paritario dei mai esauribili dialoghi di un Caffè Filosofico, dove non esistono, io penso, maestri ed allievi. Si obietterà che non di professori ed alunni si tratta; ma al di là delle colloquiali rassicurazioni, solo il fatto che si decida di rivolgersi ad un consulente smaschera il rapporto necessariamente gerarchico. Da che mondo è mondo, un consulente è qualcuno che ne sa di più su qualcosa.

Apparentemente i miei timori sono in buona parte ciò che i relatori hanno cercato di fugare per tutta la serata. Non si tratterebbe di pillole ma di maieutica, ed io non ho capito niente. Tuttavia, continuo a credere che ci voglia ben altro che qualche seduta per rendere onore ai sentieri di ricerca che hanno impegnato i grandi filosofi per vite intere, pur con tutta la buona volontà e fede di chi sta davanti e dietro la scrivania.

Data: 22.06.2013

Autore: Secondo Giacobbi

Oggetto: Riflessioni

Cari amici ,

non ho potuto purtroppo partecipare al caffè-filosofico di lunedì 10 aprile, ma mi ha fatto molto piacere che la serata sia stata dedicata al tema del counselor filosofico. Da psicoanalista e da clinico ho accolto infatti con molto favore la nascita qualche anno fa, anche in Italia, di questa nuova figura professionale. Io stesso, pochi mesi fa, ho inviato ad un consulente filosofico un giovane aspirante paziente, che mi sembrava più adatto alle cure della filosofia che a quelle della psicoterapia.

Abbiamo sempre più bisogno, in questa autentica deriva antropologica che stiamo vivendo, di filosofia e di filosofia applicata al vivere quotidiano. E i nostri amici filosofi possono certamente dare un loro contributo anche sul terreno del disagio esistenziale e del malessere psichico. A questo punto le distinzioni tra consulenza filosofica e psicoterapia, tra psicoterapia e psicoanalisi ecc. ecc. sono secondarie. La mia opinione personale è che la consulenza filosofica è una forma di cura e quindi di terapia ( della parola e della relazione ) e come tale, pur nella specificità dell’approccio filosofico, esige nell’operatore una formazione adeguata, filosofica ovviamente, professionale ovviamente, ma anche, a mio avviso, tale da includere anche una psicoterapia personale, quale che ne sia l’orientamento. Verso i nostri clienti abbiamo grandi responsabilità. Medice, cura te ipsum. Buon lavoro a Pontremoli e Tanturli.

Data: 22.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: Neanche un prete per chiacchierar…

Ci sono due categorie di persone: quelle che pagano e quelle che si fanno pagare per essere ascoltate. In un mondo in cui è la televisione a decidere chi ha il diritto di appartenere alla seconda categoria, chi ha qualcosa da dire ma non va in televisione può scegliere fra diverse possibilità: affidare le proprie riflessioni allo strumento anonimo ma rassicurante di internet, oppure, se non ha trovato amici disposti a condividere con lui le ansie grandi e piccole della vita, rivolgersi al consulente filosofico. Deve essere chiaro, come i relatori del 10 aprile hanno ripetutamente sottolineato, che non si tratta in questo caso di vere e proprie nevrosi, né tanto meno di psicosi, per le quali sono consigliabili altri tipi di consulenze e terapie. Si tratta piuttosto del disagio esistenziale, del male di vivere nel quale prima o poi tutti ci imbattiamo in momenti particolari di crisi o decisioni cruciali. Per citare ancora una volta i relatori, “una terapia per sani che non risolve i problemi, ma ne facilita la chiarificazione”.

Sono combattuta: da un lato ammiro sinceramente questi giovani che si stanno inventando un “nuovo profilo professionale” (come si usa dire oggi) di tutto rispetto, dal momento che comporta un approfondimento di tre anni dopo la laurea.

Dall’altro mi chiedo: ma che tessuto sociale logoro, che scuola sgangherata o assente, che famiglia sconnessa, che relazioni umane latitanti devono stare alle spalle di questo novello Atlante costretto a pagare qualcuno perché parli con lui, o piuttosto lo stia ad ascoltare e gli riformuli il problema… “Neanche un prete per chiacchierar”, cantava Celentano in Azzurro: evidentemente anche i preti non funzionano più come padri o consulenti spirituali. In effetti ricordo di avere assistito a Padova, presso la chiesa del Santo, a uno spettacolo quanto meno curioso: una coda di fedeli in attesa di udienza presso un frate che non so se poi elargisse consigli o si limitasse alla chiarificazione del problema. Certo è che chiedeva un’offerta libera, e a volte l’offerta libera è assai più generosa di quella prevista dalle tariffe ufficiali, specie se a deciderne l’importo è una persona di modesta disponibilità economica.

Ciò detto, trovo apprezzabile per vari aspetti il lavoro del consulente filosofico così come è stato presentato da Pietro Pontremoli e Stefano Tanturli. Innanzitutto, in generale, ben venga qualsiasi tipo di dialogo capace di farci riacquistare la visione della totalità. L’esempio del vaso/profili di Rubin allude a questa capacità oggi purtroppo accantonata a vantaggio di studi settoriali d’ogni genere, dalle pur auspicabili specializzazioni mediche, a sofisticate applicazioni tecnologiche, investigazioni scientifiche, analisi pseudoqualitative delle procedure del lavoro in vari ambiti.

Con buona pace degli analitici, ammesso e concesso che la totalità non sarà mai accessibile all’uomo sul piano metafisico, certo è che la vita si deve affrontare con una visione unitaria, sorretta da un sostrato di senso, che comunque la vogliamo chiamare (magari Weltanschauung) incide sulle decisioni che quotidianamente assumiamo. E’ questa, credo, la più profonda motivazione di quel bisogno di filosofia che oggi trova svariate e differenziate forme per esprimersi: l’affluenza di centinaia di ragazzi ad ascoltare letture o ad assistere a rappresentazioni teatrali dei classici della filosofia, il pubblico di migliaia di persone di diverse età al festival di filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo da cinque anni a questa parte (e in futuro, speriamo, anche a Crema), il ritrovato interesse per l’iscrizione alla facoltà di Filosofia – a cui, peraltro, non sempre fa seguito un regolare corso di studi coronato da laurea, e anche su questo si dovrebbe riflettere – la frequenza ai caffè filosofici, e non ultimo il ricorso al consulente filosofico.

In secondo luogo, i riferimenti specifici ai classici fatti dai relatori mi paiono di estremo valore. Credo che nessun insegnante che legga con i propri studenti Platone, Aristotele, Epicuro, Seneca, Rousseau, Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche o Gadamer possa dire di non aver avvertito nei ragazzi quell’interesse che scatta solo quando si sente parlare di qualcosa che ci tocca da vicino, e che diventa percepibile grazie allo sguardo, alla postura e a un silenzio carico di pensiero e aspettative, segnali ancor più veritieri di ogni domanda. Ma per quanto attiene la scuola, c’è qualcosa di più da dire: non è forse casuale che il consulente filosofico trovi spazi per lo meno per il momento in quelle scuole superiori che non prevedono l’insegnamento della Filosofia. A questo proposito, ci si dovrebbe chiedere se l’attuale progetto di riforma della superiore, che esige la scelta precoce di un percorso ricco o povero di filosofia, sia proficuo per la formazione delle prossime generazioni, o se piuttosto si debbano riconsiderare le vecchie proposte ormai accantonate che suggerivano di estendere tale insegnamento a tutte le scuole superiori. Ma il consulente filosofico non è un insegnante, e il suo vantaggio rispetto a quest’ultimo è di prendersi solo il bello della maieutica, ossia di non avere nulla a che fare, non dico con la burocrazia, ma con interrogazioni e verifiche, che falsano e guastano ogni autentico rapporto insegnante/alunno o consulente/consultante.

Ultima considerazione: Pietro Pontremoli ha insistito a più riprese sulla possibilità di un percorso breve, che talvolta può esaurirsi in un’ora di consulenza. Certo questo è un carattere peculiare che differenzia la consulenza filosofica non solo dall’insegnamento, ma anche dalla psicoterapia. Non nascondo però un certo sospetto in proposito: quali ragioni possono indurre il consultante a non richiedere un ulteriore intervento del consulente dopo un solo incontro? Tralascio le numerose interpretazioni malevole, che consegno alla fantasia di chi legge, e ne ipotizzo una benevola: forse chi si reca dal consulente filosofico spinto più da curiosità che da disagio profondo scopre o riscopre la bellezza della lettura e il piacere del dialogo fra persone. Esseri umani non troppo diversi, nei sentimenti e nelle paure, da quei ragazzi ateniesi che in palestra o nell’agorà si allenavano a interrogare e a cercare, incantati dal metodo di Socrate. Questo piacere è oggi spesso negato da una vita frettolosa, occupata da chiacchiere superficiali e falsamente riempita di stordimento. Se il consulente filosofico ha un futuro, per i giovani c’è speranza di riconquistare qualche brandello di significato.

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