In attesa del prossimo incontro, e di alcune argomentazioni proposte sia al precedente appuntamento sia successivamente ad esso vorrei proporre una personale considerazione. Intendo che questa sia anche un richiamo alle conclusioni tratte dal moderatore Piero Carelli e una proposta per l’incontro successivo a quello di gennaio.
Una metafora. Un vascello giunge su un’isola dopo un viaggio in un mare. Propriamente è un vascello con a bordo un me, che giunge su un’isola felice e sicura, dopo un viaggio in un mare sempre diverso da sé.
L’usufruttuario1 del vascello, vedendo la terra, esclamerà — nel rispetto delle migliori regole del racconto e del fatto che i sentimenti sono sempre i sentimenti — qualcosa! Supponiamo, con un buon grado di probabilità di finzione letteraria e scenica: “(Evviva) Terra!”.
Consideriamo le sue parole. Esclamando “(Evviva) C’è terra!”, dice il vero, se vuole significare «C’è (anche) la terra» o se, meno razionalmente, esprime un sentire solo personale2, ma dice il falso se vuole significare «C’è (solo) la terra». Le frasi verbali–acustiche sono uguali e nulla impedisce al viaggiatore del vascello di affermare la sua frase; tuttavia le conseguenze sono diverse e il suo comportamento e/o le reazioni delle altre persone3 lo testimonieranno.
Di fatto4 però il nostro abitante/viaggiatore non può (se non emotivamente) tralasciare che il suo esser–ci–lì viene dal ‘mare’ e che, forse (?), a questo mare ci deve sempre tornare, per nutrire la sua vita sull’essere–isola, che certamente lo ospita, ma non gli dà tutto (non gli è sufficiente), poiché lui non–è della stessa ‘materia’ dell’isola. Semmai è l’Isola che può, tutt’al più, dire chi è e se viene dal mare; e/o è il mare che può, tutt’al più, narrarci (all’infinito) il suo non-essere e dirci come (si) bagna (al)la spiaggia; ma il vascello scivola sul secondo e si arena, quando non s’infrange, sulla prima. E il viaggiatore (del mare o dell’isola, del tempo o dello spazio, a questo punto della non si sa più), che è addirittura su una vascello che è prodotto del legno dell’isola che usa l’acqua del mare che …, ………… e il viaggiatore?
Un anonimo, che però può lasciare una firma; ma che può firmarsi solo perché una storia–che–non–è (il ‘mare’del divenire) lo fa (portandolo su un’ I–sola) essere (lo fa cioè Essere, un–essere); lo fa un essere nuovo, perché vi è un Essere ‘vecchio’. Forse. Ci si può ovviamente dimenticare (meglio usare «si rimuove»?!) di questo; ma può capitare solo talvolta.
Una cosa, però, accadrà5 al ‘Nostro’, come il Filosofo dice e prova, e come, in tono più circoscritto ma non meno vero, la conclusione del precedente incontro testimonia: ‘si domanderà’ e lo farà, pur su argomenti diversi, con un tono ontologico–esistenziale. Se il suo essere incontra il contrasto dell’Essere (Isola), quello del non-essere (mare), il fatto che non sa il loro rapportarsi (il loro portarsi-verso) e inoltre, a voler essere precisi, la questione ‘vascello’, non può, nello stupore del caso, non porsi quel ‘tono’di domanda6.
(Una domanda di un Agire che agisce. Il “domandarsi” come esigenza esistenziale e come primo fondamenta–le modalità/criterio logico ed euristico.)
Luca Pari
1 Ché per essere proprietario dovrebbe aver quantomeno stipulato un contratto di costruzione/vendita/acquisto con qualcuno, che però non è nella (sua) storia, almeno al momento. Quanto all’aversi costruito da sé il vascello, non se ne parla nemmeno!
2 Ad esempio la sua felicità o anche la sua tristezza, se dall’isola pur felice se ne voleva andare. Questo non ci è dato di saperlo al momento iniziale della metafora.
3 Anche se l’abitante del vascello (e forse in futuro anche dell’isola) è su un’i–sola, ma anche se, allora e ancora una volta, non si sa al momento se vi sono, se vi sono stati, se vi saranno anche altri (e nemmeno chi sono).
4 Prassicamente, nel suo valore di prova provata, PRIMA ancora, magari, che risaputa, visto che, anche se non saputa, una verità comunque AGISCE.
5 Propriamente, «ac-cadrà», cioè «cadrà», ancora un volta!!
6 Più un tono di domanda che una domanda diretta, all’inizio. Più un tono che si trasforma in una domanda razionalizzata, cioè oggettivante.
LEZIONI DI FILOSOFIA MORALE - RELATORE: MARCO ERMENTINI
Serata dedicata al filosofo virtuale
La serata è dedicata al Filosofo virtuale Andrea Bortolon, nato dalla fantasia dell’ artista/professore Aldo Spoldi, all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Andrea Bortolon è un giovane timido filosofo che trova nel gesto del marameo il significato più alto e profondo dell’essere. E’ l’essere che ci sta: il paradosso irrisolto dell’eternità! La sua filosofia si presenta al tempo stesso ludica e severa e privilegia il dubbio sulla certezza.
Il filosofo ha appena pubblicato un libro che contiene i suoi recenti contributi “ Lezioni di filosofia morale: l’arte di diventare diavoli.”edizioni Skira- Fondazione Ambrosetti 2003.
La serata inizierà con una Performance teatrale a cura di “Attraversarte”- Circuito di espressività giovanile promosso dall’Area Politiche Giovanili del comune di Cremona , nel corso della quale prenderanno vita sulla scena alcuni personaggi nati nell’ambito del progetto didattico Cristina Show coordinato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera dall’artista Aldo Spoldi. Invitati a parlare del libro di Bortolon, saranno presenti anche altri personaggi virtuali quali il critico d’arte Angelo Spettacoli, il fotografo Met Levi e l’artista Vesna Blu, nonché lo stesso Andrea Bortolon e Aldo Spoldi, tutti interpretati da artisti-attori di Attraversarte: Eloisa Alquati, Fausto Merli e Michele Lanzi. Lo spettacolo, che è già stato ospitato al museo Civico di Cremona lo scorso 20 dicembre, approderà anche il 2 febbraio all’Accademia di Brera a Milano.
E’ prevista poi una breve illustrazione del libro e seguirà un dibattito sui temi del reale/virtuale , dell’identità , del marameo, del dubbio e della sfida ecc.
La serata terminerà con una esibizione dell’Orchestra Karanovic che presenterà alcuni inediti brani del loro nuovo CD composti utilizzando i testi del filosofo Bortolon nel suo libro “Lezioni di filosofia morale”. L’orchestra suona un genere molto particolare, definito “ Jazz Gnostico”. Il critico Angelo Spettacoli ritiene che “anche le parole siano ottenute per illuminazione, improvvisa e definitiva. La stessa voce della cantante è intuitiva e mi pare portatrice di salvezza. Non credo di esagerare se affermo che solo da queste musiche, e non dalle opere pubbliche, solo da questi canti, e non dalla fede nell’innalzamento del PIL, l’individuo può essere salvato”.
Dopo due incontri di Caffè filosofico – considerati un po’ sperimentali – si può forse fare un primo provvisorio bilancio dell’iniziativa in modo che con il nuovo anno si possa riprendere appieno e con più consapevolezza l’attività.
Intanto siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla partecipazione che non ci aspettavamo tanto numerosa e qualificata; sapevamo di cogliere un’esigenza sentita – quella di discutere liberamente su temi importanti per se stessi, cioè senza secondi fini – una discussione fatta per il piacere di discutere insomma -, però la realtà è stata superiore alle aspettative: un elenco di cinquanta persone, ed una affluenza che in due serate ha visto, crediamo, quasi un centinaio di presenze è indubbiamente una realtà che adesso sentiamo il peso di non disperdere.
C’è il rischio, infatti, che a fronte di tanta partecipazione, possa ora corrispondere l’abbandono della iniziativa da parte di qualcuno perché non sufficientemente interessante o all’altezza delle aspettative.
A costoro chiediamo un poco di pazienza perché solo con l’esperienza si può migliorare (ed anzi sollecitiamo valutazioni critiche in questo senso), e però anche ci pare doveroso un impegno: non si deve trattare – almeno questa è la nostra convinzione – di un dibattito culturale d’elite, né di ascoltare lezioni più o meno astruse (anche se gli argomenti sono seri e un poco di difficoltà è inevitabile); niente di cattedratico né di accademico, ma un libero conversare (ed ascoltare!) impegnativo ma anche un poco rilassante: un discorso da caffè, insomma, anche se non si tratta del caffè-sport né del rock-caffè.
I primi due incontri hanno mostrato a volte – non sempre – la faccia astrusa delle filosofia, non il suo aspetto accattivante; le comunicazioni dovranno essere più brevi, perché altrimenti il tempo del dibattito risulta troppo penalizzato, e meglio se svolte “a braccio” perché questo dà un aspetto colloquiale che favorisce l’intesa reciproca.
E’ invece più comprensibile che argomentazioni più complesse vengano riservate al forum on line di prossima apertura visto che siamo ormai in procinto di avere a disposizione un nostro spazio web all’interno della rete civica della città di Crema.
Il prossimo incontro di gennaio si presenta totalmente al di fuori di ogni inutile astruseria: potrà essere il segnale di una ripresa d’anno dell’iniziativa più decisamente “da caffè” piuttosto che da aula scolastica.
Tag:
Dibattito
Data: 01.07.2013
Oggetto: Considerazione
Data: 01.07.2013
Oggetto: Note
Note su
Aldo Spoldi, Andrea Bortolon, Lezioni di filosofia morale, L’arte di diventare diavoli, Skira, Milano 2003.
Non deve ingannare la forma (il tono semi-serio, ironico...): abbiamo avuto nella storia non pochi filosofi che hanno fatto filosofia beffandosi della filosofia paludata, ufficiale, filosofi che hanno fatto ricorso, nelle loro opere, agli stili più diversi (dalla forma narrativa a... pensieri sparsi). A mio avviso, al di là del taglio ironico, semi-serio, giocoso, siamo in presenza di un libro drammaticamente serio: un prodotto godibilissimo (le doti dello scrittore, dell’artista e del pensatore si fondono con equilibrio) e, nello stesso tempo, inquietante. Aldo Spoldi dimostra di possedere la storia del pensiero filosofico e di utilizzarla con intelligenza.
Il libro si presta a più chiavi di lettura. Uno dei motivi conduttori, secondo me, è il seguente: il mistero che circonda l’uomo, la consapevolezza della ignoranza umana, la figura preponderante dell’asino-Socrate (quell’asino che ha generato la stessa metafisica). Non si tratta di un “mistero” assoluto: il non sapere è mescolato al sapere, le menzogne alla verità, l’ombra alla luce. Abbiamo, cioè, di fronte l’unità dell’antinomia, la sintesi hegeliana degli opposti, con la precisazione, tuttavia, che il sapere è ben poco rispetto all’immensità dell’ignoto. Questo mistero è ben evidenziato dalla bella l’immagine del clown che, non riuscendo ad acciuffare l’ombra, si pone “mille perché”: sono gli interrogativi a segnare il destino dell’uomo. Non è un caso che il libro si chiuda con un gigantesco interrogativo. E gli interrogativi non rappresentano solo la dimensione dell’avventura, della curiosità (l’asino che ha generato la metafisica), ma anche l’aspetto inquietante: non è un caso che verso la fine del libro si dica “Spaventosa come il terrore che suscita un grande animale sconosciuto, bella come un sole splendente dopo la pioggia, la domanda circonda, lunatica e enigmatica, come una femmina, confondendo ogni punto e tutte le conclusioni certe”. E non è un caso che Aldo Spoldi dica che il “filosofico conosci te stesso fa correre l’io, come un camion che trasporta dinamite, nel buio di un tunnel in discesa che tante volte ricorda l’incubo.” Gli interrogativi, è vero, si concludono con un punto, ma è anche vero che ogni punto fermo (ogni certezza raggiunta) genera altri interrogativi all’infinito. “Solo la retorica – scrive Aldo Spoldi – può fare il punto. Di fatto, su ogni punto troneggia, come un dio nascosto, l’interrogativo. [...] Forse il punto è il dono della domanda e allora la domanda è il controdono che si merita il punto. Così il punto deve ricambiare ciò che non ha potuto rifiutare: deve ridonare le certezze e ridiventare un’incognita”. È questo il destino dell’uomo. Ed è questo il senso del saluto finale del filosofo Bortolon: “Vi saluto con un punto su cui troneggia, non visto, un gigantesco interrogativo, un fenomenale punto di domanda”.
A mio avviso, il libro è figlio del “Dio è morto” di Nietzsche ed esprime bene gran parte del clima culturale del nostro tempo: il crollo degli dèi (della metafisica, dei valori assoluti...), il ritorno del pensiero debole, il ritorno della consapevolezza socratica di non sapere (dell’enigmaticità dell’esistenza). Non manca, tuttavia, una reazione in termini positivi: la risata dopo ogni punto fermo, la filosofia del booh, la filosofia del marameo. Non manca la reazione della “natura” contro la “polis” (il febbrile divenire della società tecnologica): siamo in presenza della ripresa di un motivo ricorrente nella storia del pensiero (il contrasto tra natura e legge di Antifonte, Ippia, Rousseau...). Una reazione che si esprime anche nel no al consumismo, frutto della civiltà tecnologica.
Se Andrea Bortolon (alias Aldo Spoldi) voleva insegnare l’arte di diventare diavoli, a mio avviso, ci è riuscito: suscitare il demone del “dubbio”. È il demone che è stato il principale motore dell’avventura del pensiero umano, il demone che è alla base dei punti interrogativi che hanno accompagnato il cammino dell’uomo. È il demone che ci dice che non c’è mai un punto fermo definitivo, non c’è mai una meta: il mistero è il destino dell’uomo.