L'ORDINE MONDIALE INFETTO: COVID-19 E NUOVI EQUILIBRI INTERNAZIONALI, di Bruno Pierri

01.05.2020 09:00

La crisi scatenata dal Covid-19 potrebbe essere fonte di stravolgimenti di natura economica e geopolitica, oltre che denudare l’impotenza delle grandi organizzazioni internazionali. Ad esempio, la Cina è intenta a rilanciare la propria immagine globale per fugare i rischi legati al danno di reputazione inferto da un atteggiamento iniziale molto ambiguo, oltre che per limitare il crollo della produzione industriale e delle esportazioni. Pechino sta provando a promuoversi come modello nel contrasto al virus, in tal modo recuperando spazi di azione sullo scacchiere globale. Trump deve provare ad arginare un simile rischio, quanto meno per evitare conseguenze elettorali. Dipenderà anche dal modo in cui si relazionerà con il resto del mondo, a partire dai membri della NATO. Prima della pandemia, il Presidente americano aveva mostrato di abbandonare l’Europa al proprio destino, favorendo la Brexit e criticando gli alleati per lo scarso finanziamento assicurato all’Alleanza, pur non essendo certo il primo inquilino della Casa Bianca a lamentarsi di ciò. In tal modo, Trump rispondeva alla secolare tentazione isolazionista (specie nei confronti del vecchio continente) che ciclicamente attraversa gli scenari politici negli Stati Uniti. Nel giro di pochi giorni, il clima internazionale è radicalmente mutato. In breve, se la Cina approfitta della situazione per estendere la propria influenza, in questa chiave potrebbero interpretarsi gli aiuti arrivati in Italia da Germania e Stati Uniti, in termini di materiale medico, tra cui mascherine e ventilatori polmonari. D’altro canto, l’esercito americano ha donato forniture e attrezzature mediche, nell’ambito del programma di assistenza umanitaria dell’Agenzia della Difesa per la Sicurezza e la Cooperazione. Trump ha infine annunciato 100 milioni di dollari di aiuti di tipo medico e sanitario, rispondendo alla richiesta italiana di assistenza attraverso il Centro di coordinamento euro-atlantico di risposta alle catastrofi (Eadrcc) della NATO. Tale politica si spiega alla luce del Concetto Strategico del 2010 [1], secondo cui i rischi alla salute fanno parte del contesto di sicurezza che la Nato si impegna a proteggere.

    In uno scenario del genere si potrebbe anche interpretare la missione umanitaria dei virologi russi a Bergamo. Infatti, il Kommersant, principale giornale economico russo, ha pubblicato un’intervista ad Alexander Semenov [2], virologo e direttore del laboratorio di immunologia e virologia presso il Pasteur Rospotrebnadzor Research Institute of Epidemiology and Microbiology di San Pietroburgo. La missione medico-militare in Italia va inquadrata in una cornice di soft-power, alla luce del quale Mosca ha inviato un contingente al comando del Maggior Generale Sergey Kikot, vice capo di Stato maggiore del comando difesa Nbcr (Nucleare Batteriologico Chimico Radiologico). Oltretutto, l’Italia è il primo Paese che il Cremlino soccorre al di fuori della propria sfera d’influenza. Ciò che potrebbe preoccupare non poco i nostri vertici militari, e a maggior ragione quelli della NATO, è il pericolo di mostrare la debolezza di un intero sistema sanitario. A riprova di ciò, la Cia, insieme ad altri enti come il poco conosciuto National Center for Medical Intelligence (Ncmi) [3], stila periodicamente rapporti sulle capacità sanitarie di varie nazioni. In buona sostanza, aver accettato l’aiuto russo potrebbe aver mostrato tutte le nostre carenze a degli osservatori che sicuramente stanno già fornendo rapporti dettagliati ai propri capi.

    Alcuni giorni fa, in un articolo sul Wall Street Journal [4] Henry Kissinger ha messo in guardia dal rischio che la pandemia possa cambiare per sempre l’ordine globale. Secondo l’ex Segretario di Stato, gli Stati Uniti devono necessariamente “salvaguardare i principi dell’ordine mondiale liberale”, in un contesto in cui le democrazie verranno chiamate a “difendere e sostenere i loro valori illuministici”. Il prezzo da pagare, qualora ciò non avvenisse, sarebbe altissimo: “La disgregazione del contratto sociale, sia a livello nazionale che internazionale”. In una parola, la crisi economico-sanitaria rischia di essere per Washington ciò che i processi di decolonizzazione furono per gli imperi europei, segnando così la fine di un lungo periodo di egemonia. Al contrario, la Cina si presenta come fornitore di beni ormai di prima necessità, dal materiale sanitario al know-how per affrontare una pandemia. Oltre a ciò, il Partito Comunista cinese ha dato il via ad una massiccia campagna di disinformazione riguardo le origini del virus, allo scopo di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle sue responsabilità nelle primissime settimane del contagio, dall’arresto del medico che aveva scoperto l’infezione, alla mancata diffusione di notizie sulla stessa. Attualmente, invece, Pechino sta modellando un messaggio di efficienza e solidarietà, insinuandosi in tal modo tra le crepe dell’Alleanza Atlantica, oltre che negli squarci evidenti nella costruzione europea, troppo impegnata a discutere di bilanci e modalità di erogazione dei prestiti.

    Per concludere, Kissinger aveva già messo in guardia dalla possibile catastrofe di uno scontro aperto tra Washington e Pechino. “Non è più possibile ritenere che un attore possa dominare l’altro. Devono abituarsi ad accettare che esista una tale rivalità” [5]. La crisi scatenata dal Covid-19, e soprattutto la depressione economica che ne seguirà, può imprimere velocità a una tale dinamica. Cadendo nella classica trappola di Tucidide [6], una potenza egemone dovrebbe fronteggiare un gigante emergente che trasforma una gravissima crisi interna in un’occasione per elargire aiuti a comunità devastate da un virus che pone dubbi angoscianti sul futuro. La risposta occidentale a questa nuova sfida potrebbe essere essenziale per l’ordine mondiale del XXI secolo.