PSICOANALITICA-MENTE - RELATORE: SECONDO GIACOBBI
MENTE- Gli psicoanalisti, specie quelli di più classica formazione, amano poco questo termine . Lo considerano caratteristico di un approccio mentalistico, appunto, ai problemi della psiche e del pensiero. In effetti, in ambito psicologico ( e la psicoanalisi, per tanti versi, si pone in rotta di collisione con la tradizione psicologica ), parlare di “mente” rimanda ad una concezione dei processi mentali che tende a scomporli in modo atomistico, oppure a rappresentarseli secondo metafore computeristiche. La mente inconscia dei cognitivisti e delle neuroscienze, in questo senso, è molto diversa dall’inconscio degli psicoanalisti; assomiglia molto di più al Pre-conscio di costoro, cioè ad un inconscio “attuale”, passibile di coscientizzazione, privo della terribile pregnanza e della drammatica tensione dinamica dell’inconscio freudiano: In una parola, “mente” è un’espressione del lessico scientista, e la psicoanalisi, per tanti versi, si pone in rotta di collisione con la tradizione scientista.
Dire “mente” vuol dire, quasi immediatamente, porre il problema del rapporto mente-cervello. Fiumi di inchiostro sono stati versati sul tema; come parlarne in psicoanalese? Diciamo che la pratica analitica genera la convinzione che sia la mente, se non a produrre certo a organizzare , il cervello. Se un paziente riesce a trasformare il proprio mondo rappresentazionale, attraverso l’esperienza analitica, ciò avrà una ricaduta stabile sugli assetti neuronali, sugli scambi sinaptici, sulla biochimica del suo cervello. Possiamo dire che il suo cervello cambia.
Allo stesso modo se lo stato umorale e mentale di un paziente depresso cambia radicalmente, a tale cambiamento corrisponderà una modifica degli scambi sinaptici e biochimici dei suoi neuroni, i quali, a loro volta, tenderanno ad organizzarsi in circuiti, mappe e assetti anche del tutto inediti.
Tali cambiamenti sono sperimentalmente verificabili allo stesso modo in cui è verificabile l’effetto cerebrale di una protratta e intensiva somministrazione di antidepressivi.
IO- L’Io della psicoanalisi è un’istanza psichica, parte limitata di un territorio psichico ben più esteso. L’Io freudiano controlla il sistema sensomotorio, governa la motilità neuromuscolare, è al capolinea dell’esperienza percettiva e del sistema mnestico e linguistico; coincide con l’attività di pensiero conscia e “razionale”, ma non si esaurisce in essa; e infatti c’è una parte inconscia dell’Io, dentro la quale operano i cosiddetti meccanismi di difesa dell’Io; e come potrebbero essi funzionare efficacemente se fossero coscienti? Se fossi cosciente che la mia passione per le barzellette misogine nasconde ed esprime un’aggressività, repressa e rimossa, originariamente destinata a mia moglie, o a mia madre, o magari ad entrambe, tale aggressività non potrebbe più spostarsi e scaricarsi con altrettanta efficacia. Lo stesso linguaggio ha una fondazione inconscia e “parla” il soggetto.
L’Io di Freud è come Arlecchino, il “servitore di due padroni” : corre tra l’uno e l’altro padrone, pateticamente, comicamente, a perdifiato; è preteso dall’uno e dall’altro, sballottato tra l’uno e l’altro. Il primo padrone è l’inconscio pulsionale, che reclama i suoi godimenti, che impone i suoi bisogni; l’altro padrone è il Superio, con i suoi divieti morali e moralistici, coi suoi tabu, con le sue aspettative esigenti.
Quando dunque dico “io” è ad un aspetto mascherato, marionettistico, profondamente contraddittorio e conflittuale di me stesso che mi riferisco. Eppure è solo attraverso l’io che può passare qualsiasi processo trasformativo che liberi (per quanto possibile) e guarisca (per quanto possibile), poiché è attraverso l’io che il paziente parla allo psicoanalista, ed è attraverso l’Io che il paziente ascolta l’analista e si rapporta a lui.
Coscienza- Secondo freud la coscienza è solo un aspetto contingente e assolutamente minoritario dello psichico, che è semmai, secondo Freud, di per sé inconscio e lontano, anche irreparabilmente e irraggiungibilmente, dalla consapevolezza. Quanto all’inconscio, esso è di vari tipi, ovvero esso è organizzato a vari livelli: c’è un Preconscio che è limitrofo alla coscienza ( esso agisce, ad es., in quelle esperienze motorie o mentali che l’Io conscio ha delegato ad una sorta di operatore automatico, come ad es. nella guida dell’automobile); c’è un Inconscio “attuale”, o “fenomenico”,che riguarda tutto ciò che, nella psiche, è attualmente e descrittivamente inconscio, ma immediatamente passibile di coscientizzazione attraverso una presa di coscienza autoriflessiva: ad es. “ sì, è vero, quel tizio mi sta sulle scatole! Prima non me ne rendevo conto.”
C’è l’inconscio “rimosso” o “dinamico”, che è come il deposito, non certo inerte, ma dinamicamente attivo ( nel senso che determina in noi umori, stati d'animo, sintomi, lapsus, fantasie ecc.) , di impulsi, pulsioni, desideri, fantasie ecc. che l’io cosciente allontana dalla consapevolezza e rimuove negli stati profondi dell’apparato psichico. C’è infine un inconscio filogenetico, nel quale si è sedimentata la storia psichica della specie, che ha fissato in ciascuno di noi strutture e funzioni mentali, codici affettivi, fantasmi ecc.
SOGGETTO- Il soggetto della psicoanalisi è, etimologicamente, un sottoposto, un sotto-messo ( sottoposto e sottomesso ai suoi diversi padroni, le pulsioni, i divieti morali, i tabu sociali, le aspettative superegoiche ecc.)
INDIVIDUO- L’individuo, nell’ottica psicoanalitica, è divisibile-divisibilissimo; in realtà è diviso e scisso da sempre e costitutivamente. Ciascuno di noi, come chiunque può – se vuole – testimoniare a se stesso, è diviso in più parti, spesso contraddittorie e antagonistiche; e molte di queste parti non si affacciano neanche dentro il foro della vita psichica cosciente.Ne consegue che l’IDENTITA’ è una pluri-identità ed è in gran parte inconscia.
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